Certe volte nel ciclismo le corse vanno esattamente come te le aspetti. Non c’è modo di sovvertirne il destino, a prescindere dalla volontà dei protagonisti o, volendo dargli uno sguardo soprannaturale, dalla sorte.
La sesta frazione del Tour da Arpajon sur Cère a Montauban, nelle campagne collinose del Midi, è andata proprio così, come doveva andare. Una lunga fuga partita dai primissimi chilometri, peraltro pure poco numerosa per evitare sin da subito ogni rischio, e il lento, bovino, inseguimento del gruppo.
La fuga è un duetto. Una coppia complementare nel sogno, nella follia, verrebbe da dire nell’utopia. C’è un giapponese di casa sulle strade d’Europa, è Yukiya Arashiro ed è uno di quei personaggi cui tutto il gruppo vuole bene, dalla simpatia contagiosa e dall’innata capacità di farsi accogliere in ogni squadra. Con lui c’è un ceko, Jan Barta, nato a Kyjov, in Moravia, 32 anni fa. Un corridore che ha un nome che sembra una batteria elettrica, e la stessa tenuta in corsa, ultimo esponente dell’austera scuola dei passistoni dell’Est europeo, ultimo fuggitivo di questa magnifica Bora-Argon18 che ogni giorno giustifica ampiamente la sua presenza sulle strade di Francia, ben più di altri team assai più titolati.
Una strana e bella coppia, il cui destino è segnato come una diagnosi priva di errori. Arashiro e Barta vengono ripresi a una ventina di chilometri dal traguardo, in mezzo non accade nulla. Il gruppo chiacchiera, pianifica, studia e si rilassa. Perchè domani iniziano i Pirenei, e domani comincia un altro Tour de France, che per qualcuno sarà corso ai margini per altri sarà corso in testa, per pochi sarà la gloria inseguita per tutta la stagione, ma per tutti quanti sarà una gran fatica. Meglio dunque conservare le poche energie, finchè ci sono.
La volata è pressochè lineare, i nomi sono quasi sempre quelli, e pure il vincitore. L’unico passaggio imprevedibile di queste giornate è lo sprint finale, il nome del vincitore. Ma come sempre capita nelle grandi corse a tappe, a un certo punto c’è un velocista che prende il volo, e finisce per vincere sempre lui, quasi sempre. In questo Tour quel velocista si chiama Mark Cavendish, e pure oggi non ha sbagliato una virgola, grandi gambe e perfetta scelta di tempo. Marcel Kittel è superato e respinto nel finale, supportato poco e male dai compagni della Etixx-Quick Step, la squadra che si è liberata di Cavendish senza troppi pensieri, e che ora si troverà a masticare amaro. Cannonball è volato in Africa, ha ricostruito il treno dei suoi anni d’oro in casa High Road, e con loro è risalito fino alla vetta del mondo, superando addirittura monsieur Jacques Anquetil nella classifica dei plurivincitori di tappa al Tour. Davanti a lui solo Eddy Merckx, ma per raggiungere il cannibale non basta un treno. Questa è un’altra sfida dal risultato già scritto, e dallo sviluppo anche.
Ordine d’arrivo:
1 Mark Cavendish 04h43’48”
2 Marcel Kittel ST
3 Daniel Mclay
4 Alexander Kristoff
5 Christophe Laporte
6 Peter Sagan
7 Dylan Groenewegen
8 Edward Theuns
9 Bryan Coquard
10 Shane Archbold
Classifica generale:
1 Greg Van Avermaet 30h18’38”
2 Julian Alaphilippe a 05’11”
3 Alejandro Valverde a 05’13”
4 Joaquin Rodriguez a 05’14”
5 Christopher Froome a 05’17”
6 Warren Barguil ST
7 Nairo Quintana
8 Pierre Rolland
9 Fabio Aru
10 Daniel Martin
Filippo Cauz
(foto di A.Broadway per A.S.O.)