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Alfredo Martini, 93 volte grazie
Il grande saggio del ciclismo se ne è andato. Lo si sapeva, perché la stanchezza e la malattia lo stavano sfiancando da tempo. 93 anni è un bel vivere. Ma quando ti lascia una figura come Alfredo Martini un senso di commozione non ti può non colpire.
Il “citì”, come lo si era soliti chiamarlo, aveva una capacità travolgente di coinvolgere. I suoi aneddoti, la sua calma, la sua sapienza e il suo spessore umano e tecnico lo hanno reso uno dei nomi indimenticabili nella storia del ciclismo italiano.
Gregario di Fausto Coppi da corridore (10 vittorie totali in carriera e un terzo posto al Giro del 1950), poi direttore sportivo e infine ct azzurro, le sue non comuni qualità emersero soprattutto nei 22 anni da timoniere della Nazionale, dal 1975 al 1997, che portarono i corridori azzurri a conquistare il titolo iridato con Francesco Moser (1977), Giuseppe Saronni (1982), Moreno Argentin (1986), Maurizio Fondriest (1988) e Gianni Bugno (1991 e 1992), oltre a sette medaglie d’argento e altrettante di bronzo.
Alfredo Binda diceva che la vita a 20 anni è un dono, a 60 una difesa, a 70 una conquista. Martini, in una delle sue ultime interviste, aggiunse a questa frase che, dai 90 anni in poi, il regalo più bello è ogni giorno in più che passa. Essenziale, sintetico, ma dritto al punto.
Alfredo è rimasto un costante punto fermo del nostro ciclismo negli ultimi 40 anni, sia nei momenti di gloria che in quelli di terremoto. Ecco perché è stato così amato, rispettato e quasi venerato.
Con lui non ha avuto la fortuna di correre in azzurro il nostro Paolo Savoldelli, che però lo ricorda così:
“Era una persona molto saggia, che sapeva concentrare l’attenzione su di sé perché non era mai banale. Aveva sviluppato una grandissima esperienza in tutti quegli anni nel ruolo di ct e nel tempo è diventato una figura importante e molto rappresentativa per il ciclismo italiano. I suoi racconti dell’epoca di Coppi e Bartali, vissuta soprattutto nella veste di gregario, erano sempre una scuola di vita. Una frase che mi colpì molto durante una nostra chiacchierata fu questa: fanno più sacrifici i giovani di oggi che non quelli di un tempo. Una volta non c’era nulla, non c’era benessere e bisognava per forza fare qualcosa e rimboccarsi le maniche. Oggi invece i ragazzi hanno tutto e se si dedicano al ciclismo professionistico devono rinunciare a tutti gli agi e alle comodità che c’è nella società di oggi…Un pensiero forse controcorrente ma che mi colpì profondamente e racconta bene l’essenza del personaggio”
Ciao Alfredo. Buon viaggio lassù…
Luca Gregorio