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Redazione

Fare i conti con se stesso

È la mente che comanda. Sempre. Esempio. Per la prima volta, dopo mesi, questo sabato mattina mi sveglio senza nessun allenamento in programma. Da un anno ho iniziato una nuova avventura lavorativa, mi sono messo in proprio e i problemi da affrontare sono tanti. Le ultime settimane in particolare sono state molto stressanti, tanto da fare, poco tempo per farlo e, quindi, pressione alle stelle. Nel corso di questo anno quindi, il tempo per la bici l’ho strappato con i denti, tenacemente. Anche troppo forse.

Risultato: la voglia di fare ulteriori “sacrifici” sportivi è ai minimi. È un segno dell’età. 33 anni non sono tanti, ma non sono 18 e neanche 25.
 Nel frattempo ho puntato le ruote verso Monticello Brianza e penso che è un po’ che non vado a trovare il mio amico Lissolo. Mi rispondo che oggi non è il caso. A questo punto, non so perché, mi salta in mente il nome della salita di Paù (o Pau). Me la ricordo dura, con due tratti con pendenza vicino al 20%. Mi gira in testa una domanda “Ma da dov’è che si prendeva la Paù (o Pau)?”. Mi auto richiamo: ‘Dove vai?! Sei vicino agli 80 kg, a maggio eri vicino ai 70 kg e ti era sembrata dura già allora.”. Sembra funzioni. Semaforo per Sirtori, dovrei girare a destra. Vado dritto. Sto andando verso la Paù (o Pau), perché nel frattempo un neurone dissidente ha preso il sopravvento sui restanti 119 miliardi e ha deciso che voleva vedere come arrivare a quella salita perché non se lo ricorda bene. Inizio. Sento distintamente degli insulti. Provengono in ordine sparso da: gambe, polmoni, cuore. E ho fatto si e no 200 mt. La salita, a memoria, è sui 5. Chilometri. Ed è qui che la mia giornata cambia. Tornante a sinistra, non so perché mi guardo dietro. E lo vedo. È un ciclista, sta salendo bene, la pedalata è nettamente più brillante della mia. Ma la cosa peggiore è un’altra: ho dato solo un’occhiata, ma il soggetto in questione non è giovane. Affatto. Va bene, calma.

Sono a metà salita, finora ho fatto fatica, tanta, ma non ho certo dato tutto. Lui forse si è tirato il collo per venirmi a riprendere e sul tratto duro può pagare. Sfrutto i tratti in cui spiana per allungare e prendere un po’ di velocità e cerco di andare regolare quando la strada torna a salire. Tornante a destra. Si è avvicinato. Non ci posso credere! Di cose importanti, nel mio piccolo, credo di averne fatte e adesso sto per essere ripreso da un pensionato?! Mi ha preso. Mi affianca. Valuto che può avere 60 anni, ma è più probabile che siano 65 e forse anche un paio in più. Ma la ciliegina sulla torta è un’altra: ha il marsupio in vita! Non posso fare niente. Ho le cuffiette con la radio che va ma lo sento: “Andiamo” mi dice. È il colpo di grazia. La salita finisce, alzo gli occhi. Non c’è più. Un minimo di capacità di recupero ce l’ho ancora. Il corpo è pronto, dice di ripartire ma qualcosa lo blocca. È la testa. La testa è alla disperata ricerca di una spiegazione plausibile, credibile:

1)    Era appena partito e quindi era freschissimo.
2)    Stava dando tutto perché stava arrivando a casa. Che era la prima alla fine della salita, motivo per cui non l’hai più visto, era già rientrato in garage.
3)    Si è nascosto dietro una siepe.
4)    No, si è travestito da siepe. Col marsupio.
5)    Non era vecchio, era un liceale. E quelle non erano rughe, era acne.
6)    Era dopato.
7)    No, non era dopato: in realtà era Lance Armstrong, texano di Austin che in gran segreto ha preso casa a Carate Brianza.
8)    Quindi in effetti era dopato.


  
Morale: se la testa non c’è, se gira nel modo sbagliato, diventi fragile come un cristallo e puoi finire in mille pezzi in un secondo. Perché lei ha deciso così. Comunque, la mia stagione probabilmente finisce qui. La testa, alla fine, lentamente, ha finito di arrovellarsi sul perché sono stato staccato in bicicletta su una salita da un pensionato. Anche se comunque il livido rimane…

Stefano Nuzzi