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Il Mont Ventoux, il gigante calvo
Inutile girarci attorno ; il mont Ventoux non è una salita come le altre. Isolata, la vetta priva di vegetazione, il " monte calvo" è carico di storia e leggende, un posto dove i protagonisti del ciclismo mondiale, fin dagli anni 50 del secolo scorso, hanno scritto pagine memorabili e tragiche.
Insomma, unico ed inconfondibile; ecco il perché siamo partiti, Marco ed io, in auto dalla bassa lodigiana , sorbendoci 600 chilometri di autostrada, fino alla bella cittadina di Carpentras, in Provenza. L'indomani da qui partiremo per tentare la scalata al versante sud, quello classico; quasi 22 km al 7,5 di pendenza media. Tanta roba, una piccola impresa per noi , cicloturisti con allenamento precario e, nel mio caso, leggermente sovrappeso. E' una mattina limpida e cristallina di metà agosto; il sole nel cielo azzurro illumina un paesaggio pettinato da bellissimi e scenografici vigneti, mentre dei famosi campi di lavanda non vediamo traccia.
La strada che solca la campagna ondulata e curata dal lavoro dell'uomo, permette di scaldaci la gamba ed osservare, con un certo timore, il profilo della "nostra" vetta in lontananza. Arrivati a Bedoin, un piccolo villaggio a 300 mslm, dopo circa una quindicina di chilometri, la tensione comincia a salire ; notiamo che saremo in buona e nutrita compagnia. Infatti, frotte di ciclisti, di tutti i tipi e da ogni parte del mondo si stanno apprestando alla scalata, che comincia, appena fuori paese, in maniera molto tranquilla e graduale. Si sale senza difficoltà con pendenze tra il 3/5% ammirando e gustando appieno il panorama dall'alto, superando piccole località fino ad arrivare, dopo circa 6 km ad un tornante che piega decisamente a sinistra, quota 550 mslm.
Qui inizia la vera ascesa; saranno 10 chilometri durissimi, su una strada che non concederà più il minimo respiro. Tra lunghi rettilinei e semicurve infinite, con pendenze anche sopra il 10/12% , si entra in un bosco fittissimo che concede ampi tratti ombreggiati e fondo praticamente perfetto, ma senza tregua. Fino allo chalet Reynard lo sforzo è massimo e, anche se in questo lungo lasso di tempo ,vedo tutto il mondo in bici che mi supera, tengo duro fino al rifugio. Qui, dopo una breve sosta rigeneratrice, inizia la parte più scenografica del Ventoux; la cima sembra essere a portata di mano , le pietre bianche ricoprono tutto il pendio che, con grande sorpresa e piacere, sale ancora ma con pendenze leggermente meno ostiche del tratto precedente. Allo scoperto, gli ultimi 6/7 chilometri sono un vero e proprio spettacolo della Natura ; Il Mistral, il temuto vento che spazza la cima dorme ancora, al suo posto una piacevole brezza e la temperatura dell'aria è gradevole.
Sul bordo della strada, una solitaria e spennacchiata pecora mi osserva stranita; sembriamo due naufraghi in mezzo al mare, ma la salvezza è ad un tiro di schioppo,a portata di ... pedale . La fatica adesso viene stemperata dalla certezza di arrivare fino alla cima; dopo la doverosa sosta al cippo che ricorda la morte di Tommy Simpson , nel lontano tour del '67, gli ultimi 1000/1200 metri sono ancora un duro ostacolo, l'ultimo, ma ormai è fatta. L'ultimo tornante e poi ecco il piazzale, letteralmente e gioiosamente invaso dai cicloturisti , a centinaia. Una babele di voci e lingue, tutti stanchi, sudati e felici in sella ad una bici; lo sguardo spazia a 360 gradi.
Sono emozionato; intorno un panorama che lascia senza parole, forse un po' offuscato dalla grande fatica, ma il momento è perfetto, quasi magico. Il ritorno a casa sarà senz'altro più lieve; qualche volta, anche la classe operaia del pedale và in paradiso.
Graziano Majavacchi
Insomma, unico ed inconfondibile; ecco il perché siamo partiti, Marco ed io, in auto dalla bassa lodigiana , sorbendoci 600 chilometri di autostrada, fino alla bella cittadina di Carpentras, in Provenza. L'indomani da qui partiremo per tentare la scalata al versante sud, quello classico; quasi 22 km al 7,5 di pendenza media. Tanta roba, una piccola impresa per noi , cicloturisti con allenamento precario e, nel mio caso, leggermente sovrappeso. E' una mattina limpida e cristallina di metà agosto; il sole nel cielo azzurro illumina un paesaggio pettinato da bellissimi e scenografici vigneti, mentre dei famosi campi di lavanda non vediamo traccia.
La strada che solca la campagna ondulata e curata dal lavoro dell'uomo, permette di scaldaci la gamba ed osservare, con un certo timore, il profilo della "nostra" vetta in lontananza. Arrivati a Bedoin, un piccolo villaggio a 300 mslm, dopo circa una quindicina di chilometri, la tensione comincia a salire ; notiamo che saremo in buona e nutrita compagnia. Infatti, frotte di ciclisti, di tutti i tipi e da ogni parte del mondo si stanno apprestando alla scalata, che comincia, appena fuori paese, in maniera molto tranquilla e graduale. Si sale senza difficoltà con pendenze tra il 3/5% ammirando e gustando appieno il panorama dall'alto, superando piccole località fino ad arrivare, dopo circa 6 km ad un tornante che piega decisamente a sinistra, quota 550 mslm.
Qui inizia la vera ascesa; saranno 10 chilometri durissimi, su una strada che non concederà più il minimo respiro. Tra lunghi rettilinei e semicurve infinite, con pendenze anche sopra il 10/12% , si entra in un bosco fittissimo che concede ampi tratti ombreggiati e fondo praticamente perfetto, ma senza tregua. Fino allo chalet Reynard lo sforzo è massimo e, anche se in questo lungo lasso di tempo ,vedo tutto il mondo in bici che mi supera, tengo duro fino al rifugio. Qui, dopo una breve sosta rigeneratrice, inizia la parte più scenografica del Ventoux; la cima sembra essere a portata di mano , le pietre bianche ricoprono tutto il pendio che, con grande sorpresa e piacere, sale ancora ma con pendenze leggermente meno ostiche del tratto precedente. Allo scoperto, gli ultimi 6/7 chilometri sono un vero e proprio spettacolo della Natura ; Il Mistral, il temuto vento che spazza la cima dorme ancora, al suo posto una piacevole brezza e la temperatura dell'aria è gradevole.
Sul bordo della strada, una solitaria e spennacchiata pecora mi osserva stranita; sembriamo due naufraghi in mezzo al mare, ma la salvezza è ad un tiro di schioppo,a portata di ... pedale . La fatica adesso viene stemperata dalla certezza di arrivare fino alla cima; dopo la doverosa sosta al cippo che ricorda la morte di Tommy Simpson , nel lontano tour del '67, gli ultimi 1000/1200 metri sono ancora un duro ostacolo, l'ultimo, ma ormai è fatta. L'ultimo tornante e poi ecco il piazzale, letteralmente e gioiosamente invaso dai cicloturisti , a centinaia. Una babele di voci e lingue, tutti stanchi, sudati e felici in sella ad una bici; lo sguardo spazia a 360 gradi.
Sono emozionato; intorno un panorama che lascia senza parole, forse un po' offuscato dalla grande fatica, ma il momento è perfetto, quasi magico. Il ritorno a casa sarà senz'altro più lieve; qualche volta, anche la classe operaia del pedale và in paradiso.
Graziano Majavacchi