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Colli di San Fermo, una bella sorpresa tutta da scoprire
Lo spunto di conoscere ed affrontare questa salita mi è arrivato proprio da Bike Channel, vedendo il servizio realizzato da Boglia e Savoldelli. Alla vigilia di ferragosto, siamo partiti da Trescore Balneario sulla ss 42 , imboccando una ciclabile che costeggia il torrente Cherio; qualche chilometro in falsopiano per scaldare la gamba e rompere il fiato, superando prima Entratico, poi Borgo di Terzo, fino alla deviazione sulla destra per Grone.
Qui inizia la strada provinciale 79 ; 1500/1600 metri di salita regolare e senza grandi difficoltà fino al paese e, dopo una leggera contropendenza, un cartello che indica una pendenza del 17%. Sembra quasi lo scherzo di un buontempone che si diverte a spaventare i cicloturisti che passano da queste parti ; ed invece è, purtroppo, proprio tutto terribilmente vero, anzi di più. I 3000 metri successivi sono un piccolo / grande incubo per le mie due ruote e soprattutto per me. La bici si inchioda all'asfalto e le gambe girano molto lentamente, troppo lentamente.
Tornanti senza soluzione di continuità che si arrampicano sul pendio senza lasciare un minimo di respiro e la possibilità di rifiatare. Salgo arrancando alla grande, zigzagando aggrappato al manubrio che scivola dalle mani, zuppo di sudore. La velocità è prossima ai 4 km/h, le pendenze sono estreme; " fermo di nome , fermo di fatto" l'unico pensiero che mi rimbomba in testa. Per fortuna l'ampia sede stradale consente di impostare la traiettoria esterna, evitando, in parte, le rampe più maligne. Ma sento ormai di essere vicino alla resa, quando la voce di Dino mi avverte che forse, adesso la strada spiana un po'; ed è vero, per mia fortuna. All'altezza di un piccolo cimitero una breve ma gradita contropendenza e poi le pendenze si fanno più umane, 6/8 %. Riprendo vigore ed ottimismo ; il bosco dirada e osservo attorno a me il tipico panorama prealpino tra case sparse, cascinali e prati verdi che si perdono a vista d'occhio.
Anche se la giornata non è spettacolare, anzi piuttosto grigia, l'ambiente montano ha sempre la grande capacità di rivitalizzarci; in fondo si sale anche per osservare noi stessi, oltre che l'ambiente che ci circonda. Lontano, sopra di noi le antenne che svettano nel cielo, indicano che la strada è ancora lunga, ma ormai il più è fatto. Adesso i tornanti attraversano dolci pendii e sembrano indugiare benevolmente; attraversiamo piccoli insediamenti, prima di arrivare al valico, a quota 1064 mslm, dove ci fermiamo per una breve sosta e per ripararci da un breve ma violento acquazzone. Ancora un paio di chilometri di falsopiano in salita e poi via in una lunga e bellissima discesa su fondo discreto. Passiamo per Adrara san Martino e Adrara san Rocco, fino a Villongo.
Il resto è una lunga e defaticante piccola cavalcata verso il nostro capolinea, passando per Tagliuno, Chiuduno e Gorlago. Un piccolo grande giro di 52 chilometri e quasi 950 metri di dislivello. La salita di san Fermo è veramente spettacolare; lunga soltanto 9 chilometri con pendenza media vicino al 9%, ricorda nei 3 km più impegnativi le aspre pendenze del Mortirolo. Ad altezze modeste corrisponde un panorama che lascia senza parole per una sua tipica bellezza contadina. Una montagna che fa capire, anche a chi la attraversa in bicicletta, che vivere da queste parti non deve essere esattamente una passeggiata di salute.
Graziano Majavacchi
Qui inizia la strada provinciale 79 ; 1500/1600 metri di salita regolare e senza grandi difficoltà fino al paese e, dopo una leggera contropendenza, un cartello che indica una pendenza del 17%. Sembra quasi lo scherzo di un buontempone che si diverte a spaventare i cicloturisti che passano da queste parti ; ed invece è, purtroppo, proprio tutto terribilmente vero, anzi di più. I 3000 metri successivi sono un piccolo / grande incubo per le mie due ruote e soprattutto per me. La bici si inchioda all'asfalto e le gambe girano molto lentamente, troppo lentamente.
Tornanti senza soluzione di continuità che si arrampicano sul pendio senza lasciare un minimo di respiro e la possibilità di rifiatare. Salgo arrancando alla grande, zigzagando aggrappato al manubrio che scivola dalle mani, zuppo di sudore. La velocità è prossima ai 4 km/h, le pendenze sono estreme; " fermo di nome , fermo di fatto" l'unico pensiero che mi rimbomba in testa. Per fortuna l'ampia sede stradale consente di impostare la traiettoria esterna, evitando, in parte, le rampe più maligne. Ma sento ormai di essere vicino alla resa, quando la voce di Dino mi avverte che forse, adesso la strada spiana un po'; ed è vero, per mia fortuna. All'altezza di un piccolo cimitero una breve ma gradita contropendenza e poi le pendenze si fanno più umane, 6/8 %. Riprendo vigore ed ottimismo ; il bosco dirada e osservo attorno a me il tipico panorama prealpino tra case sparse, cascinali e prati verdi che si perdono a vista d'occhio.
Anche se la giornata non è spettacolare, anzi piuttosto grigia, l'ambiente montano ha sempre la grande capacità di rivitalizzarci; in fondo si sale anche per osservare noi stessi, oltre che l'ambiente che ci circonda. Lontano, sopra di noi le antenne che svettano nel cielo, indicano che la strada è ancora lunga, ma ormai il più è fatto. Adesso i tornanti attraversano dolci pendii e sembrano indugiare benevolmente; attraversiamo piccoli insediamenti, prima di arrivare al valico, a quota 1064 mslm, dove ci fermiamo per una breve sosta e per ripararci da un breve ma violento acquazzone. Ancora un paio di chilometri di falsopiano in salita e poi via in una lunga e bellissima discesa su fondo discreto. Passiamo per Adrara san Martino e Adrara san Rocco, fino a Villongo.
Il resto è una lunga e defaticante piccola cavalcata verso il nostro capolinea, passando per Tagliuno, Chiuduno e Gorlago. Un piccolo grande giro di 52 chilometri e quasi 950 metri di dislivello. La salita di san Fermo è veramente spettacolare; lunga soltanto 9 chilometri con pendenza media vicino al 9%, ricorda nei 3 km più impegnativi le aspre pendenze del Mortirolo. Ad altezze modeste corrisponde un panorama che lascia senza parole per una sua tipica bellezza contadina. Una montagna che fa capire, anche a chi la attraversa in bicicletta, che vivere da queste parti non deve essere esattamente una passeggiata di salute.
Graziano Majavacchi