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Doping, a che punto siamo?
Volenti o nolenti, col doping, torniamo sempre a farci i conti. Da appassionati di bici siamo i primi a cui da fastidio parlarne. Da appassionati di bici siamo però anche i primi che vorrebbero questo sport sempre più pulito. In questi giorni ha fatto piuttosto sensazione la confessione del 18enne britannico Gabriel Evans, campione nazionale junior a cronometro, che ha confessato di aver comprato e assunto Epo in vista proprio di quella gara.
Chiariamo subito che le poche righe di questo articolo non hanno la pretesa di risolvere e dare un giudizio definitivo sulla questione. Credo però che la prima cosa da dirci sia questa: non facciamo gli struzzi mettendo la testa sotto terra facendo finta che, coi nuovi controlli e il passaporto biologico, la piaga sia stata vinta. Il doping c'è sempre stato e ci sarà sempre. Sappiamo benissimo che oggi se ne fa abuso nel mondo dei cicloamatori e delle granfondo e sappiamo anche che, spesso, è "obbligatorio" assumerlo da dilettanti se si vuole poi intraprendere la carriera da professionisti. Possiamo prenderci in giro e dire che non è vero, ma ciascuno di noi ha esperienze più o meno dirette da racconti o persone incontrate (pedalando ovviamente).
La solita, eterna domanda è dunque sempre la stessa... cosa fare? Per quanto sconsolante, la vera risposta è nulla. E il motivo è semplice: il doping sarà sempre un passo avanti all'anti-doping, anche se una tantum qualcuno cade nella rete. Detto questo, io mi sono fatto l'idea che, doping o meno, questo sia uno sport meraviglioso, in cui comunque si fatica e ci si fa un "mazzo" come in poche altre discipline. I campioni veri restano tali e lo sarebbero anche senza qualche aiutino. In più abbiamo una certezza: non siamo più ai livelli dei vergognosi anni '90 e da questo punto di vista bisogna dare merito all'impegno dell'UCI e anche di tanti corridori che si sono impegnati nel rilanciare l'immagine di un ciclismo pulito.
E' ovvio che sentire un 18enne che si fa già condizionare per la voglia di raggiungere un risultato provoca una certa tristezza e un certo disagio. Mi piacerebbe che, almeno i sogni, avessero un'immagine pura e disincantata...
Luca Gregorio
Chiariamo subito che le poche righe di questo articolo non hanno la pretesa di risolvere e dare un giudizio definitivo sulla questione. Credo però che la prima cosa da dirci sia questa: non facciamo gli struzzi mettendo la testa sotto terra facendo finta che, coi nuovi controlli e il passaporto biologico, la piaga sia stata vinta. Il doping c'è sempre stato e ci sarà sempre. Sappiamo benissimo che oggi se ne fa abuso nel mondo dei cicloamatori e delle granfondo e sappiamo anche che, spesso, è "obbligatorio" assumerlo da dilettanti se si vuole poi intraprendere la carriera da professionisti. Possiamo prenderci in giro e dire che non è vero, ma ciascuno di noi ha esperienze più o meno dirette da racconti o persone incontrate (pedalando ovviamente).
La solita, eterna domanda è dunque sempre la stessa... cosa fare? Per quanto sconsolante, la vera risposta è nulla. E il motivo è semplice: il doping sarà sempre un passo avanti all'anti-doping, anche se una tantum qualcuno cade nella rete. Detto questo, io mi sono fatto l'idea che, doping o meno, questo sia uno sport meraviglioso, in cui comunque si fatica e ci si fa un "mazzo" come in poche altre discipline. I campioni veri restano tali e lo sarebbero anche senza qualche aiutino. In più abbiamo una certezza: non siamo più ai livelli dei vergognosi anni '90 e da questo punto di vista bisogna dare merito all'impegno dell'UCI e anche di tanti corridori che si sono impegnati nel rilanciare l'immagine di un ciclismo pulito.
E' ovvio che sentire un 18enne che si fa già condizionare per la voglia di raggiungere un risultato provoca una certa tristezza e un certo disagio. Mi piacerebbe che, almeno i sogni, avessero un'immagine pura e disincantata...
Luca Gregorio