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Redazione

2200 chilometri in bici alla scoperta di se stessi

Lo scorso fine settimana sono stato a fare lo Stelvio, era qualche anno che non ci tornavo, e nonostante una grande quantità di chilometri già nelle gambe, ho preferito mettere la sveglia prima del solito e partire prestissimo. O così pensavo, perchè nel puntare la sveglia mi sono imbattuto in numeri assai meno convenzionali, in "sveglie" puntate agli orari in cui capita più spesso di coricarsi: 02:15, 02:26, 02:45, 03:06... Sveglie improbabili che mi hanno riportato a una storia, all'avventura in sella più incredibile che io abbia vissuto negli ultimi anni.
 
Il Giro Ciclistico delle Repubbliche Marinare No-Stop è una delle grandi classiche del panorama delle randonnée italiane. 2200 chilometri e 20000 metri di dislivello. Il tutto in una settimana, in totale autonomia, senza mezzi di supporto ne' assistenza tecnica. Da Venezia a Genova, scavalcando l'Appennino e sfidandolo lungo la costa accidentata fino a Pisa e poi una lunghissima discesa via Roma sino ad Amalfi, quindi l'Appennino di nuovo in direzione Pescara, per poi risalire lungo la costa adriatica sino al ritorno a Venezia. Lungo la strada ci sono ventiquattro tappe obbligatorie, il resto è una sfida.
 
O forse, più che una sfida, si potrebbe definirla una follia. Una di quelle decisioni che si devono prendere senza stare troppo a pensarci su. Nel mio caso, è stato lo spazio tra due semafori. Era ottobre, avevo appena di lavorare e pedalavo con calma sotto la pioggia verso casa; avevo iniziato da un po' a pensare a questa sfida, ma ero ancora indeciso se farlo davvero o no. Mentre ero in circonvallazione, mi si affianca una macchina, il guidatore era Fulvio Gambaro, l'organizzatore, di passaggio da Milano. Mi saluta e si ferma al semaforo 300 metri dopo. In quei 300 metri prendo la mia decisione, lo raggiungo e gli dico: "Quest'anno faccio le Repubbliche Marinare!". Era un segno del destino, e quella pioggia solo un piccolo antipasto dell'acqua che avrei preso qualche mese dopo.
 
Durante la settimana lavoro come bike messenger, faccio consegne in bicicletta per Milanbike. Gran parte dei chilometri li percorro trasportando un carrellino che permette di portare in giro per Milano frutta e verdura biologica: il peso del tutto si aggira intorno ai 50/60 kg. Senza dubbio un buon allenamento sia per la potenza sia per capire il traffico e anticiparne gli eventi, cosa molto utile in una manifestazione in cui le ore di sonno sono veramente poche. Inoltre vado a correre due volte a settimana, prediligendo la corsa in salita sulla Montagnetta di San Siro, unica protuberanza nell'infinito piattume milanese. La domenica infine cerco sempre di fare un "lungo" in bici, vale a dire dalle 5 ore in su, mettendoci dentro più salita possibile. I chilometri annuali sono circa 20'000, ma più che i chilometri contano le ore, circa 1'100 nel 2015. Non seguo tabelle, non la considero preparazione, semplicemente faccio quello che mi piace, il resto viene di conseguenza. Eppure direi che l'allenamento non mi manca.
 
La partenza è avvenuta domenica 31 maggio da Venezia. Sono arrivato il giorno prima, per mangiare e dormire il più possibile, e ambientarmi con un gruppo che gruppo non è, poichè si pedala quasi sempre da soli, ma è una comunità di avventurieri. La difficoltà di quest'anno era ingigantita dagli elementi al contorno: il caso ha voluto che piovesse più in quella settimana che in tutta la primavera. Per via del maltempo ha prevalso il concetto di avventura all'esercizio fisico, forse ho veramente spinto sui pedali solo l'ultimo giorno, per il resto è stato un riscoprire "l'animalaccio" che c'è in me.
 
Ho deciso di ridurre all'essenziale il mio bagaglio, non per essere “leggero”, ma perchè se non si hanno gli oggetti per affrontare un qualche cosa allora davanti agli ostacoli si devono sviluppare per forza delle capacità personali. Questo con ponderazione e non con incoscienza. Con me avevo dietro una maglietta, un pantaloncino, due paia di calze, una giacca maniche lunghe, un antipioggia, STOP. Nient'altro. E' stato sufficiente per essere felice. Vivendo del necessario e non del superfluo.
 
Ho passato due notti in albergo, dormendo in media quattro ore per notte, due notti nelle cabine bancomat delle banche, varie brevissime pause per dormire e una notte passata al freddo di un deposito semicoperto, condividendo 1 metro quadrato di spazio asciutto con un compagno di viaggio. Ho mangiato per fame e bevuto per sete. Ho percorso alcuni chilometri in solitaria e alcuni con altri viaggiatori. Il bello è che in queste situazioni non ti puoi nascondere, vieni fuori per quello che sei veramente, così ho potuto vedere i lati buoni e i soliti lati subdoli dell'uomo, ma sono felice di aver conosciuto anche quelli.
 
I lati più belli te li porti dietro dagli incontri più casuali. Come quell'alba nell'entroterra spezzino, dopo una notte priva di sonno, cercando come sempre l'apparizione salvifica di un bar aperto. Il primo che trovo è a Ceparana, un piccolo paesino, il barista mi vede comparire come uno zombie fradicio e insonne e mi accoglie con un calore unico. Facciamo due chiacchiere e scopro che va in bici anche lui, benchè nel bar non ci sia neanche una coppa o un poster, niente di niente che possa far pensare ad un appassionato di ciclismo. Invece scopro che sto parlando con il secondo arrivato assoluto al percorso lungo della 9 colli. Non mi ha neanche fatto pagare quel un prezioso cappuccino.
 
Ho preso pioggia e temporali quasi tutti i giorni, solo la Toscana mi ha regalato un pausa di sole. Ho perso un'infinità di tempo a Roma, per raggiungere Piazza San Pietro tra buche e traffico, ho mangiato una pizza in Campania con un ciclista americano e uno canadese, e sono caduto, una volta sola, lungo un tornante di una discesa bagnata, prendendo una botta con conseguenti abrasioni al gluteo e al ginocchio, il dolore però non era così intenso e ho potuto continuare per i restanti... 800 chilometri. Tutti i dolori e le sofferenze sono momentane, ciò che resterà incancellabile è solo la bellezza.

Sono stato obbligato a fermarmi per una pioggia violentissima il penultimo giorno, temendo di veder sfuggire il traguardo proprio all'ultimo istante. A 394 chilometri da Venezia mi fermo per un temporale, mi corico e punto la sveglia alle due di notte, sperando di alzarmi senza pioggia. Sono fortunato, è lunga e dura, ma ce l'ho fatta. A cento metri dal traguardo ho dovuto fermarmi di nuovo, questa volta per asciugarmi le lacrime.
 
Mi sono stampato dentro una fotografia dell'Italia. Quanti dialetti, quanti volti, quanti modi diversi di interpretare la vita, diversi da regione a regione, da paese a paese. L'Italia in fondo non esiste, esistono solo tanti piccoli stati. Non esiste un sentimento comune se non in piccole realtà. Ad emergere è solo il singolo capace di improvvisare, che trova campo fertile per diventare un genio.
Viviamo nel paese più bello del mondo, con una diversità di culture e di paesaggi unica. Io sono stato un protagonista che per mezzo della sua capacità di far fatica ha potuto guardare questo bel quadro guardando un po' anche dentro se stesso, scoprendo di volta in volta i miei limiti, le mie paure, il mio coraggio, la mia anima!




Michelangelo Pacifico 
(testimonianza raccolta da Filippo Cauz)