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Le donne iraniane protestano in bici
Le donne iraniane stanno pubblicando, sui social media, video e foto di se stesse in bicicletta. E’ una protesta contro la fatwa emanata dalla Guida Suprema dell’Iran Ali Khamenei, che nei giorni scorsi ha dichiarato ai media locali che «andare in bici spesso attira l’attenzione degli uomini ed espone la società alla corruzione, mette in pericolo la verginità e bisogna rinunciarvi». Una madre e una figlia, per esempio, si sono filmate mentre girano in bicicletta sull’isola di Kish con il velo obbligatorio sulla testa (e con il volto coperto per non essere riconoscibili).«Mia madre e io siamo di Teheran. Adoriamo pedalare: è un nostro diritto e non siamo disposte a rinunciarvi», dice una delle due donne nel filmato pubblicato su Facebook.
La campagna su Facebook
Masih Alinejad, giornalista iraniana esule in America che ha iniziato il movimento «My Stealthy Freedom», già impegnata da anni nella lotta contro il velo obbligatorio nel suo Paese, ha invitato le connazionali a inviarle foto di se stesse in bici e ha cominciato a pubblicarle con l’hashtag #IranianWomenLoveCycling. “Una fatwa del genere contro le donne nel XXI secolo è vergognosa. E’ inaccettabile nel 2016. Le donne iraniane vogliono essere attive nella società, ma per i religiosi sono una minaccia, non dovrebbero essere né viste né sentite, ma chiuse in cucina».
L’Iran rispetto ad altri Paesi
A differenza dell’Arabia Saudita, dove le donne non possono nemmeno guidare l’auto e dove il popolarissimo film “La bicicletta verde” di Haifaa Mansour ha raccontato le difficoltà di una bambina che vorrebbe portare la bici come il suo migliore amico maschio ma lo si può fare solo in aree designate e non in strada, in Iran — dove le donne sono assai più attive in ogni settore della società e il loro movimento è storicamente assai più forte — finora non ci sono state proibizioni simili sulla bici né sulla macchina. Per quanto riguarda la moto, in Iran non è lecito alle donne guidarla in strada, ma atlete come Behnaz Shafiei ci hanno raccontato come stanno pian piano spingendo per renderlo possibile come sport. Lo scorso luglio, alcune cicliste iraniane nella città di Marivan però sono state fermate dalla polizia, che ha chiesto loro di firmare un documento in cui dichiaravano che non avrebbero mai più pedalato in pubblico. In Paesi come l’Iraq e l’Afghanistan esistono team femminili di ciclismo di strada ma non è facile per le atlete: «Le donne devono infrangere le regole per praticare questo sport», come diceva in una recente intervista al Corrieredal Kurdistan iracheno Zryan Atar, 21 anni, che vinse una medaglia d’oro al campionato arabo di ciclismo di strada in Algeria nel 2014.
La solidarietà che a volte manca
Le donne iraniane sempre più chiedono solidarietà alle europee. Non sempre sentono di riceverla. Nei giorni scorsi Alinejad ha parlato al Parlamento europeo accusando le politiche - da Ségolène Royal (al momento ministra dell’Ecologia e dello Sviluppo Sostenibile) a Federica Mogherini (Alto Rappresentante della Politica Estera dell’Unione Europea) — di ipocrisia, perché mentre in Europa si protesta per il divieto contro il burkini, loro non lanciano un messaggio forte contro il velo obbligatorio in Iran ma al contrario lo indossano quando visitano la Repubblica islamica.
Viviana Mazza
[articolo tratto da: Corriere della Sera, 21 settembre 2016]