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Redazione

"Paga per correre": arrivano le prime condanne

Nel pomeriggio di ieri si è svolto il processo di appello dell'inchiesta "Paga per correre", che ha coinvolto diversi team manager e alcuni atleti delle formazioni professional italiane. L'inchiesta, come spesso capita nata prima sui giornali e approdata in seguito ai tribunali, vuole squarciare l'omertà su un'abitudine ormai consolidata del nostro ciclismo (e non solo): quella di chiedere ai corridori stessi di pagarsi lo stipendio, tramite sponsorizzazioni o addirittura giri di denaro nero. Una modalità di ingaggio non soltanto illegale, ma ancora più odiosa se si considera come incide nello sfavorire la meritocrazia dei giovani corridori, frustrandone i sogni e contribuendo in maniera non indifferente all'abbassamento del livello del nostro ciclismo.

L'inchiesta era già stata archiviata in due diverse occasioni dalla Procura Federale, e solo la volontà del procuratore del CONI Cataldi aveva fatto sì che arrivasse in aula, nello scorso autunno, dove però il processo si concluse con un'assoluzione generale. Ieri la Corte d'Appello ha invece rivoluzionato la sentenza, distribuendo brevi squalifiche a tre imputati ma soprattutto segnando un passaggio storico nel nostro sport. Degli imputati presenti uno solo esce con un'assoluzione piena, il team manager della Bardiani Bruno Reverberi, per gli altri tre le condanne sono limitate a tre mesi di inibizione per Angelo Citracca e Gianni Savio (rispettivamente team manager di Wilier-Selle Italia e Androni Giocattoli) e quindici giorni di squalifica per il corridore della Trek-Segafredo Marco Coledan, che in mancanza di un appello d'urgenza al Collegio di Garanzia del Coni (con il rischio di inasprimento della pena) sarà così costretto a saltare le classiche del nord. Per i due manager condannati la sentenza li obbligherà a stare lontani dalle squadre nei prossimi appuntamenti della Ciclismo Cup (dove l'Androni di Savio è stata grande protagonista sin qui) e, per quanto riguarda Citracca, persino al Giro del centenario. Le motivazioni della sentenza verranno rese note tra dieci giorni, e tra gli interessati c'è persino l'Unione Ciclistica Internazionale, che potrebbe rivedere le assegnazioni delle licenze alla luce di fatti di particolare gravità.

La vicenda, c'è da scommetterci, non si chiuderà qui, e questi stessi verdetti potrebbero trovarsi presto ribaltati nuovamente. C'è però da apprezzare, finalmente, la scelta dello sport italiano di mettere finalmente in discussione determinate pratiche dannose che si davano per consolidate e implicitamente accettate. Tra poco più di un mese partirà il Giro d'Italia, che proprio nella sua centesima edizione schiererà il minor numero di sempre di squadre italiane al via, soltanto due: fotografia di una crisi che non è soltanto economica, ma è figlia di una riluttanza al rinnovamento che può essere superata partendo anche da qui, dalla trasparenza.






Filippo Cauz

(foto via Twitter)