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Redazione

Bergen2017: le pagelle delle nazionali

Uno degli aspetti più affascinanti della prova in linea ai mondiali è il fatto che si corre per nazionali. A guardarlo nel ciclismo di oggi appare come il retaggio di un'epoca passata: le squadre vengono assemblate in maniera discontinua, con capitani che si pestano i piedi e un continuo inseguimento di alleanza trasversali. Proviamo a rileggere il mondiale di Bergen e il terzo trionfo consecutivo di Peter Sagan proprio guardando alle squadre anzichè ai singoli protagonisti, ben consci dell'impossibilità di scindere le due parti.

Slovacchia 8
Difficile dare un voto a una squadra di cui appare sempre e solo un uomo solo. Eppure tre mondiali di fila non si vincono ogni lustro, tanto che fino ad oggi non c'era mai riuscito nessuno, e il trionfo di Peter Sagan va condiviso legittimamente con i suoi compagni. Per oltre 250 chilometri l'unico slovacco avvistato è il fratello Juray nel momento in cui manca la musette al rifornimento. Negli ultimi tre chilometri però il campione del mondo è protagonista assoluto, fino al trionfo, dopo il quale Peter Sagan ringrazia anche i suoi amici che corrono in altre squadre. Un riferimento misterioso a una squadra più larga di quanto sembri, già solo la lunga permanenza della Repubblica Ceca in testa al gruppo per tutta la prima metà di circuito è un segnale.

Norvegia 7.5
Valutazione da dividere in due, come divisa era la nazionale di casa tra un gruppo per Edvald Boasson Hagen e uno per Alexander Kristoff. Il primo è da bocciare senza appello, il secondo invece tiene alta la bandiera e raccoglie la più amara delle medaglie. Su un percorso perfetto per lui, il potente norvegese voleva a tutti i costi il trionfo, tanto da lanciarsi in prima persona a chiudere sugli attacchi negli ultimi chilometri. Persino la sua volata è stata ideale, tanto che Sagan ha dovuto penare molto più del solito per sopravanzarlo di solo mezza ruota. Il dispiacere accennato da Sagan nei suoi confronti la dice lunga sul valore di Kristoff e su quanto meritasse quel gradino in più sul podio.

Australia 6.5
Squadra compatta intorno a Michael Matthews. Forse troppo, a giudicare dalla gamba con cui si è presentato allo sprint finale il velocista australiano, che raccoglie la seconda medaglia mondiale in tre anni, ma è costretto a guardare ancora dal basso in alto la maglia iridata di Sagan.

Italia 7
Davide Cassani lo aveva promesso: "non tireremo un metro", e così è andata. L'Italia non sbaglia un colpo inserendo Alessandro De Marchi passivo nell'unica fuga di peso e controllando regolarmente senza sprechi l'avanguardia del gruppo. Nel finale Gianni Moscon compie un piccolo capolavoro torcendosi le budella pur di rientrare su Julian Alaphilippe, mentre un monumentale Alberto Bettiol e Diego Ulissi si trasformano in stopper su ogni contrattacco tutelando l'alternativa della volata di Matteo Trentin. Tatticamente una prova perfetta, sul cui risultato pesa più che altro il materiale a disposizione. Resta la domanda però su come sarebbe potuta andare la corsa con un disegno più aggressivo. Mezzo punto in meno per la trainata da squalifica di Moscon, una figuraccia in mondovisione aggravata dalla recidività.

Gran Bretagna 7.5
A leggere i convocati pareva che presenziassero più per onor di firma che altro, dopo la rinuncia forzata a Mark Cavendish. Invece la formazione britannica tira fuori una corsa di tutto rispetto: si fa vedere spesso in testa al gruppo a seguire i pochi attacchi, prova il colpaccio nel finale con Ben Swift, e riesce ad agguantare un'insperata top5 proprio con lo sprinter della UAE nella volata finale. Promossi a pieni voti.

Belgio 5
Se la corsa è stata così bloccata tatticamente, la colpa è esclusivamente delle squadre presentatesi in Norvegia ricche di attaccanti e ritrovatesi di colpo travolte dalla timidezza. Il Belgio è inevitabilmente sul banco degli imputati, con una formazione fatta di soli grandi nomi e quello che è forse il miglior gregario al mondo, Julien Vermote, sacrificato anche a Bergen a decine di chilometri di lavoro al vento. I belgi invece aspettano a lungo, troppo a lungo, per giocare le proprie carte, e lo fanno solo una volta con un brillante Tim Wellens. Esauritasi l'azione di quello che era probabilmente il più in forma dei suoi, di chilometri ne restavano troppo pochi per inventarsi qualcosa, con un Greg van Avermaet inesistente e Philippe Gilbert rimbalzato in salita e costretto a provarci da solo, disperatamente, nelle ultime curve. Poche gambe, ma anche poco cuore.

Francia  8
Ha dovuto aspettare i 70 anni per esordire come CT della nazionale Cyrille Guimard, ma gli è bastata una corsa per ritrovare la grinta che lo ha sempre contraddistinto. In una gara impostata da tutti sull'attesa, i francesi sono gli unici che provano a sovvertire il copione, e per poco non gli riesce. Negli ultimi giri provano ripetutamente a selezionare il gruppo con Warren Barguil e Tony Gallopin, ma il capolavoro lo compie Alaphilippe, con una sparata di potenza che risulta inafferrabile persino per Gilbert. Se avesse trovato un po' più di collaborazione da Moscon, o anche solo un terzo compagno d'attacco, probabilmente staremmo parlando di un podio diverso, ma la storia non si fa con i ma, e la storia a Bergen l'ha fatta ancora Sagan. Eppure a Parigi nessuno tornerà recriminando.

Colombia  5
Unico scopo della squadra era tutelare la volata di Fernando Gaviria, e tanto è stato fatto, con Jarlinson Pantano inseritosi in fuga più per presenza che peraltro. Il problema è arrivato però proprio dallo sprinter stesso, lanciatosi in un assurdo tentativo ai -2 km quando la situazione era ideale per giocarsela allo sprint. Un errore marchiano su cui i compagni non hanno colpe, ma sarebbe interessante capire se qualcuno lo ha (mal) consigliato. Medaglia buttata? Possibile.

Polonia  4
La giornata no di Michał Kwiatkowski trascina a fondo tutta la formazione biancorossa. I polacchi si fanno vedere qualche volta con timidezza, ma preferiscono lasciare il pallino della corsa in mani altrui. Può darsi che fossero già consci della cattiva condizione del capitano, capace di chiudere comunque nel gruppo dei migliori, ma a quel punto sarebbe stato più opportuno muoversi in maniera differente, invece scelgono di non muoversi.

Paesi Bassi  4.5
Il mondiale degli orange sta tutto nell'accelerata di Tom Dumolin a due giri dal termine. Nonostante la condizione eccellente, il dominatore del Giro si limita a poche pedalate fuori sella, per poi rilassarsi subito nel momento in cui non coglie reazioni altrui. E' l'unica fiammata di una squadra che si fa trovare presente spesso (con Lars Boom e Sebastian Langeveld) ma non punge mai. Vale il discorso fatto per tutti gli altri che avrebbero dovuto smuovere le acque, invece si sono limitati a contemplarle. Il finale peggiore per la nazione dominatrice della settimana.

Danimarca  7
Due carte avevano e due carte hanno giocato i danesi. E se lo scatto di Michael Valgren ha sortito ben pochi effetti, discorso condiviso con tutti i colleghi puncheur, ben diversa è stata l'azione di Magnus Cort Nielsen all'ultimo chilometro, quando lo sprinter dell'Orica ha approfittato dei tentennamenti in testa per involarsi verso la gloria personale. Azione fallita, ma il primo ad essere spuntato dal blackout televisivo è stato proprio lui, e ce lo ricorderemo a lungo.

Russia  5
Il premio per la formazione più sconclusionata del plotone va indubbiamente a Il'nur Zakarin e compagni. I russi attaccano a ripetizione, e scientificamente scelgono sempre il momento sbagliato. Alla fine riescono ad arrivare in tre nel gruppo di 26 che si gioca il mondiale: 16°, 18° e 23°.

Spagna  6
La peggior selezione iberica di sempre, senza alcun nome spendibile su questo percorso, riesce comunque a farsi notare negli ultimi giri con qualche tentativo oltre i limiti dell'utopia. Bravo David de la Cruz a collaborare nella fuga di Wellens, bellissimo Lluís Mas all'attacco su un terreno non suo. Azioni che non servono e portano a nulla, ma a pascolare nella pancia del gruppo sono capaci tutti.

Irlanda  7
Nazionale di soli sei corridori, guidata da un Daniel Martin in forma improbabile e assolutamente inadatto a questo circuito. Gli irlandesi lo sanno bene e decidono di passare una giornata diversa: partono all'attacco dal chilometro uno con Conor Dunne, e nel giro di poche centinaia di metri gli affiancano Sean McKenna. Intorno ai due si forma la fuga che durerà per quasi 200 chilometri. Naturalmente senza speranze, eppure con questa mossa gli irlandesi si trovano più protagonisti di tante formazioni ben più blasonate. Bravi.

Bergen2017   9.5
Non è una squadra in corsa, ma è una squadra organizzativa, ed è la vera vincitrice di questa settimana iridata. Il mondiale di Bergen ci ha riconciliato con questo appuntamento dopo il rituale desertico di Doha 2016. Un pubblico caldissimo ha accolto le nazionali con entusiasmo nel campionato del mondo più bello di sempre dal punto di vista ambientale. Le immagini delle colline e dei fiordi resteranno negli occhi a lungo. I circuiti si sono rivelati ben disegnati, e solo la prova finale ha avuto uno sviluppo scontato. Mezzo punto in meno solo per il blackout che ha azzoppato l'ultima diretta televisiva: una pecca non imputabile agli organizzatori, ma che comunque macchia una rassegna che per il resto ha rasentato la perfezione.