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La gioia di correre di Rigoberto Urán
Nonostante abbia quasi 31 anni, e sia professionista da più di 10, questo 2017 è stato indubbiamente la migliore annata della carriera di Rigoberto Urán. Merito del podio conquistato inaspettatamente al Tour de France, a soli 54" da Chris Froome, ma anche di una riscoperta continuità di rendimento che lo ha visto piazzarsi in top 10 dalle corse di marzo a quelle autunnali. Una stagione segnata da due sole vittorie (la tappa di Chambéry al Tour e la Milano-Torino), ma da numerose gioie, ben rappresentate dal sorriso contagioso sfoggiato sul podio del Tour.
I risultati non sono tutto, le vittorie ancora meno, nella filosofia di Rigoberto Urán. La visione del mondo del colombiano è figlia più della sua crescita difficile, in un contesto di guerra che gli ha portato via il padre a soli 14 anni, che di quanto combinato in bicicletta, che per Urán resta soprattutto una grande passione. Di questa passione, e di questa stagione memorabile, ne ha parlato a lungo in un'intervista a Cyclingnews, di cui riportiamo alcuni passaggi.
"Questa è stata una buona stagione per me, ma ogni anno credo di aver disputato una grande stagione, a prescindere dai risultati raggiunti", afferma Urán, che ci tiene sempre a specificare le priorità differenti della sua vita quotidiana. "La mia felicità personale e quella della mia famiglia non dipendono da una vittoria o meno in una determinata gara. So bene che sono pagato per vincere, fa parte dello sport professionistico, ma riesco a correre senza preoccuparmi dell'obbligo di vincere. Se vinco è bene, ma se non vinco non è la fine del mondo. E' più importante sapere che sono in salute e felice. Alcuni corridori non sembrano divertirsi quando sono concentrati sulla gara, guardano a tutto come a una battaglia, tra se' e con gli altri. Io non la vedo così. Dobbiamo vivere le nostre vite al meglio possibile. E' per questo che la notorietà non significa nulla per me. Amo semplicemente correre in bici ed essere un ciclista professionista. Penso che siamo tutti essere umani e siamo tutti uguali. Credo che la cosa più importante nella vita sia fare quello che ami, altrimenti tutto diventa troppo difficile".
Urán ricorda poi come la sua sorprendente performance al Tour de France sia figlia della fiducia ricevuta dalla squadra, che gli ha permesso di concentrarsi al 100% sull'appuntamento francese senza mai fargli sentire una eccessiva pressione. E proprio il rapporto con la Cannondale (che dal prossimo anno si chiamerà Team EF) sembra la chiave per comprendere il rendimento in questa fase della carriera del colombiano. Tanto che quando Jonathan Vaughters la scorsa estate ha informato tutti i suoi corridori della mancanza di uno sponsor per la stagione 2018, pochi giorni dopo il rinnovo contrattuale dello stesso Urán, il corridore di Urrao ha preferito dare tempo alla dirigenza per trovare un nuovo finanziatore, sospendendo ogni altra trattativa. "Ho valutato che la scelta più corretta fosse aspettare due settimane per vedere se sarebbe spuntato un nuovo sponsor per salvare la squadra. Ho pensato fosse importante, perchè il ciclismo non poteva accettare la scomparsa di un'altra buona formazione. Sono stato io ad arrivare secondo al Tour, ma per ottenere quel risultato ho avuto bisogno di tutta la squadra, dell'aiuto dei miei compagni, dei direttori sportivi, dei massaggiatori, dei meccanici e di tutto lo staff. Puoi anche essere il corridore più forte, ma nel ciclismo non puoi mai vincere da solo".
Filippo Cauz
I risultati non sono tutto, le vittorie ancora meno, nella filosofia di Rigoberto Urán. La visione del mondo del colombiano è figlia più della sua crescita difficile, in un contesto di guerra che gli ha portato via il padre a soli 14 anni, che di quanto combinato in bicicletta, che per Urán resta soprattutto una grande passione. Di questa passione, e di questa stagione memorabile, ne ha parlato a lungo in un'intervista a Cyclingnews, di cui riportiamo alcuni passaggi.
"Questa è stata una buona stagione per me, ma ogni anno credo di aver disputato una grande stagione, a prescindere dai risultati raggiunti", afferma Urán, che ci tiene sempre a specificare le priorità differenti della sua vita quotidiana. "La mia felicità personale e quella della mia famiglia non dipendono da una vittoria o meno in una determinata gara. So bene che sono pagato per vincere, fa parte dello sport professionistico, ma riesco a correre senza preoccuparmi dell'obbligo di vincere. Se vinco è bene, ma se non vinco non è la fine del mondo. E' più importante sapere che sono in salute e felice. Alcuni corridori non sembrano divertirsi quando sono concentrati sulla gara, guardano a tutto come a una battaglia, tra se' e con gli altri. Io non la vedo così. Dobbiamo vivere le nostre vite al meglio possibile. E' per questo che la notorietà non significa nulla per me. Amo semplicemente correre in bici ed essere un ciclista professionista. Penso che siamo tutti essere umani e siamo tutti uguali. Credo che la cosa più importante nella vita sia fare quello che ami, altrimenti tutto diventa troppo difficile".
Urán ricorda poi come la sua sorprendente performance al Tour de France sia figlia della fiducia ricevuta dalla squadra, che gli ha permesso di concentrarsi al 100% sull'appuntamento francese senza mai fargli sentire una eccessiva pressione. E proprio il rapporto con la Cannondale (che dal prossimo anno si chiamerà Team EF) sembra la chiave per comprendere il rendimento in questa fase della carriera del colombiano. Tanto che quando Jonathan Vaughters la scorsa estate ha informato tutti i suoi corridori della mancanza di uno sponsor per la stagione 2018, pochi giorni dopo il rinnovo contrattuale dello stesso Urán, il corridore di Urrao ha preferito dare tempo alla dirigenza per trovare un nuovo finanziatore, sospendendo ogni altra trattativa. "Ho valutato che la scelta più corretta fosse aspettare due settimane per vedere se sarebbe spuntato un nuovo sponsor per salvare la squadra. Ho pensato fosse importante, perchè il ciclismo non poteva accettare la scomparsa di un'altra buona formazione. Sono stato io ad arrivare secondo al Tour, ma per ottenere quel risultato ho avuto bisogno di tutta la squadra, dell'aiuto dei miei compagni, dei direttori sportivi, dei massaggiatori, dei meccanici e di tutto lo staff. Puoi anche essere il corridore più forte, ma nel ciclismo non puoi mai vincere da solo".
Filippo Cauz