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Il ciclocross è fango e gloria

Articolo tratto da BIKE 4 / WINTER gennaio-marzo 2021

La fase finale dell’ultimo Giro delle Fiandre, la classica del Nord più importante della stagione, per tanti vera e propria Università del ciclismo, si è svolta nel segno di tre tra i corridori più forti al mondo: Julian Alaphilippe, Wout van Aert e Mathieu van der Poel. Un testa a testa tra fenomeni accomunati dal medesimo punto di partenza. Tutti infatti hanno cominciato a correre, e vincere, lontano dalle strade, in mezzo al fango dei prati d’inverno. Un tris di campioni che fioriscono nel ciclocross.

Nato agli inizi del Novecento come forma di allenamento invernale, il ciclocross ha impiegato pochi anni ad affermarsi come disciplina a sé stante, fino a diventare sport di primissimo piano in Belgio e nei Paesi Bassi, dove tutt’oggi raduna migliaia di spettatori e recita un ruolo da protagonista nelle audience televisive. Grazie a un elemento di assoluta semplicità: lo spettacolo. Ed è quasi impossibile, nel ciclismo contemporaneo, imbattersi in corse più spettacolari.

Anche durante un inverno martoriato dalla scure pandemica, il ciclocross è riuscito a ricavarsi spazi di sopravvivenza. Si è corso a porte chiuse, un caso strano nel ciclismo e drammatico per queste prove che devono la propria sussistenza ai biglietti d’ingresso e soprattutto al guadagno dei bar. Il ciclocross fiammingo, del resto, è una vera e propria festa popolare: un pubblico di ogni età si intrattiene, da mattina a sera, tra canti, balli e birra a fiumi.

La stagione è comunque riuscita silenziosamente ad andare avanti anche da noi dove il Giro d’Italia Ciclocross, organizzato dall’Asd Romano Scotti, ha celebrato la sua dodicesima edizione, suddiviso tra regioni centrali, Veneto, Friuli e Puglia, mentre è stato costretto al rinvio il 38° Gp Guerciotti di Milano, la Classicissima del calendario italiano.

Il bello del ciclocross è che si può correre ovunque: basta anche un parco in città. Nel mondo si gareggia negli autodromi e sulle spiagge, nelle cave e nei boschi, qualcuno opta addirittura per le discariche o per complessi edilizi in disuso. Ovunque si può uscire a pedalare. Se d’inverno fa freddo, per affrontare lunghe uscite, quale risposta migliore che una pedalata breve ma a tutta, vicino a casa, sfidando il fango e i terreni pesanti, giocando su e giù dai ponti o nei canali in secca? Circuiti di 2-3 chilometri, da ripetere sino a raggiungere l’ora di gara. Mix di sterrato e asfalto, fango, sabbia, erba, fossati, salti e scalinate, salite e discese: il ciclocross è la più universale tra le discipline del ciclismo, dove la potenza è irrinunciabile ma inefficace se non affiancata da tecnica, colpo d’occhio, coraggio, abilità nel saltare su e giù di sella.

Van Der Poel
Mathieu van der Poel (Shutterstock)

Il ciclocross è una metafora della vita reale: non esistono strade spianate né giornate prive di imprevisti. Buttarsi nel fango significa fare i conti con cambi e freni bloccati, talvolta con qualche ruzzolone. In gara si deve stringere ogni curva, sgomitare, andare sempre oltre i propri limiti. Per questo il ciclocross è diventato ben presto molto più di un allenamento, e soprattutto un gran divertimento, almeno per chi lo guarda. Per chi pedala, invece, è una fatica fulminante: un’ora soltanto di attività, ma a tutta. In una gara di ciclocross non c’è un’istante di respiro. Se si chiede a un ciclocrossista quale sia la propria soglia in genere scoppia a ridere: nel ciclocross si corre solo fuori soglia, dalla prima curva al traguardo.

Ben prima che i mercati si saturassero di gravel, le bici da ciclocross avevano già delineato il mezzo perfetto per il proprio scopo: affrontare ogni terreno, e uscirne il più veloci possibili. Più bici da corsa che mountain bike, ma con forcelle ampie, pneumatici larghi e tassellati e geometrie più alte rispetto al terreno. Dalla mountain bike sono ereditati i pedali: sgancio rapido e attacco agile per smontare di sella in ogni istante in cui sia necessario mettersi a correre. I rapporti sono più agili per provare a sfidare le rampe, arrivando in casi estremi persino all’abolizione totale del cambio: è il caso del ciclocross singlespeed, la frangia più ‘hardcore’ della disciplina più ‘hardcore’ del ciclismo.

Nelle gare principali è prevista una zona box lungo il circuito nella quale si può cambiare bicicletta. Mentre il ciclista pedala, i meccanici scrostano il mezzo per poi provvedere a un nuovo cambio nel finale. Ma quando si esce semplicemente a pedalare non c’è nulla di tutto ciò: c’è solo il fango con cui fare i conti fino a che non si rientra a casa, e il bucato è l’ultimo dei pensieri.

(Foto Shutterstock)