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Francesca Cazzaniga

Domenico Pozzovivo, il testimone

Articolo pubblicato su BIKE Volume 6 edizione Autumn ottobre-dicembre 2021

Tenacia è una parola che, nel vocabolario di Domenico Pozzovivo, assume un significato assai preciso. Un concetto che il ciclista di Montalbano Jonico, provincia di Matera, ha fatto proprio attraverso prove e difficoltà, dal primo all’ultimo infortunio. Altra parola di cui, purtroppo, Pozzovivo conosce bene il significato. Ed è con la tenacia che ha saputo recuperare da tutti gli incidenti che ha avuto. Lo ha fatto con una forza unica, che non ci si aspetterebbe essere sprigionata da un corpo così piccolo, di appena un metro e sessantacinque centimetri in altezza, e comunque sorprendentemente in sintonia con un carattere che, oltre ad essere tenace è anche caparbio.

Meticoloso e scrupoloso come pochi suoi colleghi sanno essere, Pozzovivo ha sempre visionato i percorsi. Subito dopo la laurea triennale in Economia aziendale, conseguita nel 2010, per esempio, è andato a fare la ricognizione del Terminillo, il monte sull’Appennino abruzzese che avrebbe di lì a poco dovuto affrontare durante il Giro d’Italia. Un esempio di come dedizione e sacrificio paghino sempre. Compiendo passi che sono serviti a realizzarsi, come ragazzo prima, atleta e uomo poi.

Pozzovivo si è avvicinato al ciclismo solo dopo aver provato altri sport: “Prima disciplina in assoluto è stata la ginnastica artistica, quando avevo cinque anni, poi sono passato al calcio come la maggior parte dei bambini”, rammenta. “È stato mio papà Leonardo – prosegue –, allenatore di calcio, a consigliarmi di cambiare. Così ho provato la corsa campestre. Con il risultato che al ciclismo mi sono avvicinato abbastanza tardi, quando avevo undici anni”. È stato amore a prima vista. “Mi piaceva scalare le salite cercando di non mettere mai i piedi a terra”.

Di ascese ce ne sono parecchie anche nella sua Basilicata, che è perfetta per i ciclisti. “I percorsi che prediligo sono quelli intorno al Massiccio del Pollino”, confida Pozzovivo a BIKE, “una zona molto selvaggia che permette di fare percorsi lontani dal traffico. Una salita cui sono particolarmente affezionato è quella di Colobraro: sono circa cinque kilometri all’11% di pendenza media con pochissime curve. Ce l’ho nel cuore e più volte l’ho affrontata per testare la condizione”. E aggiunge: “Quando non stai bene rimani piantato, ma è in grado di trasmetterti grandi emozioni”.

Oltre alla strada, nei pressi di Montalbano Jonico, si trovano percorsi adatti alla mountain-bike. “Ci troviamo in una zona di ‘calanchi’, che sono il risultato dell’erosione del terreno che si produce per effetto del dilavamento delle acque su rocce argillose”, nota con precisione Pozzovivo, “quindi si tratta per lo più di percorsi praticabili quando non piove, perché altrimenti diventano troppo ‘appiccicosi’ ed eccessivamente faticosi da percorrere”.

La fatica però non ha mai spaventato Pozzovivo, nemmeno quando tutti lo ricordano soccorso dall’elicottero durante il Giro d’Italia del 2015, l’asfalto chiazzato di sangue e il volto tumefatto. Perse conoscenza e, a trentatrè anni, sembrava potesse essere il capolinea, invece è ripartito. Nel 2018 miglior italiano alla Corsa Rosa e al Tour de France. Al Giro sfuma, però, il sogno del podio finale nella tappa del Colle delle Finestre, quella dell’attacco di Chris Froome. Quel momento, a trentacinque anni, è stato senza dubbio, insieme alla vittoria di tappa a lago Laceno (Av) nel 2012, uno dei picchi della sua carriera, abbellito dal quinto posto in classifica generale, proprio come nel 2014.

Nell’agosto 2019 un altro, terribile, incidente ha coinvolto Pozzovivo mentre si allenava per la Vuelta di Spagna. Sulle strade del cosentino è stato investito da un’auto a un incrocio. La diagnosi: frattura di tibia e perone e frattura pluriframmentata ed esposta del gomito. “Hanno messo fine alla mia carriera”, raccontava alla moglie mentre veniva trasportato in ospedale. Anche quella volta è ripartito tornando in gruppo.

Poi ancora due cadute, con conseguente ritiro: una al Tour de France 2020 e un’altra nel Giro d’Italia 2021. Domenico non si abbatte, torna in gruppo, chiude il Giro di Svizzera in sesta posizione e centra la top ten nella prova su strada del Campionato Italiano a Imola. La sfortuna, però, purtroppo continua. Ad agosto, a causa di una caduta nella quarta frazione della Vuelta Burgos, il trentottenne lucano ha dovuto abbandonare la corsa, peraltro dopo un bel secondo posto nella terza tappa, alle spalle di Bardet. Impietoso l’esito degli esami: frattura del ginocchio sinistro. “Sto meglio”, assicura a BIKE, “ho divorato i tempi di recupero. Si parlava di 4-5 settimane con stampelle e di riposo completo, invece già dopo due settimane sono riuscito a tornare in sella alla mia bici, ovviamente con le dovute cautele”.

Il 2022 molto probabilmente sarà l’ultima stagione. Ancora un anno nella sua attuale squadra, la Qhubeka-NextHash (la cui avventura, invece, purtroppo, è finita anzitempo, ma Pozzovivo, come ha detto a Tuttobiciweb, non si considera ancora un ex, ndr), e poi, una volta appesa la bici al chiodo, conseguirà la seconda laurea, questa volta in Scienze motorie, dove gli mancano solo quattro esami, con l’obiettivo di dedicarsi alla preparazione atletica dei corridori. Resterà, dunque, nella grande famiglia del ciclismo, e menomale, diciamo noi, perché tutti hanno bisogno della sua tenacia, in sella o al fianco dei corridori. Come sempre, infaticabile e grandissimo esempio.

Nella foto Domenico Pozzovivo con la maglia della Qhubeka-NextHash (Fotostelvio)