In montagna con Hervé
Articolo tratto da BIKE Volume 10, edizione Autumn ottobre-dicembre 2022
Professione alpinista, Hervé Barmasse nutre una grande passione per il ciclismo, che va di pari passo con quella per la montagna. Classe ’77, nato e cresciuto a Valtournanche, Val d’Aosta, ai piedi del Cervino, quando era giovane promessa dello sci, un infortunio lo ha ricondotto alla tradizione di famiglia: quarta generazione di guide alpine, come il bisnonno a fine ‘800, l’atleta del Global team The North Face di guide alpine è anche istruttore.
Il primo contatto con la bici, racconta Barmasse a BIKE, risale all’epoca della “rivalità tra Bugno e Indurain”, quando da ragazzo ancora sciava, “come allenamento di forza, resistenza e fondo”. Una pratica “che ha il pregio di non sollecitare le articolazioni”, spiega, riscoperta in questi anni nella preparazione per l’alpinismo, perché “le sensazioni durante un’uscita sono molto simili a quelle delle lunghe ascese”. Con i compagni di sci alpino aveva avuto l’occasione di testare anche le rampe del Barbotto tanto caro a Pantani, (tra i suoi idoli insieme a Bugno e Nibali, Rossi e Federer, “campioni che sanno arrivare alle persone e che hanno saputo risollevarsi anche dalle crisi”), ma le sue salite restano quelle di casa: San Carlo, Col di Joux, San Pantaleone, il Piccolo e il Grande San Bernardo.
Ulteriore trait d’union tra la montagna e la bicicletta è Enervit, di cui Barmasse è ambassador e che l’ha riportato quest’anno, per la seconda volta, alla Maratona dles Dolomites. “È stata l’occasione per ripercorrere salite mitiche e incontrare appassionati di montagna, da scalatore per un giorno ma in modo differente”. Con l’azienda specializzata in nutrizione sportiva e integrazione alimentare, che lo accompagna tanto nelle uscite in sella quanto nelle sue imprese alpine, la collaborazione è proficua e, proprio in questi mesi, li vede al lavoro insieme su un nuovo prodotto per le discipline outdoor. “Ciò che le aziende che rappresento cercano in un atleta come me – osserva – non sono solo le prestazioni e l’attenzione alla natura, all’ambiente, ma un intero universo di valori, un’etica che dura nel tempo”. Inoltre, prosegue nel ragionamento, “le persone riescono a immedesimarsi con chi, come me, ha saputo risollevarsi dagli infortuni”.
Quando gli chiediamo quali sono le ascese di cui va più fiero, la memoria spazia tra diversi momenti della sua longeva carriera, ma tre su tutte ci tiene a menzionarle: il Cervino “per una ragione affettiva, è la montagna di casa e dove ho compiuto il maggior numero di exploit, tra nuove vie, invernali e solitarie”. Poi c’è il Cerro Piergiorgio, una liscia lavagna granitica la cui ascensione “è stata una sfida che mi ha impegnato per tre anni”. Infine lo Shisha Pangma, “perché è stato il primo ottomila in assoluto, per di più scalato in stile ‘pulito’ in 13 ore, senza prima aver testato alcuna via ‘normale’”.
Il tipo di alpinismo nel cui solco si colloca Barmasse è quello ‘pulito’, rispettoso della natura e che ricorre a innovazioni e tecnologia in modo non pervasivo e sempre sostenibile. È la scuola di Albert Friedrick Mummery, tra i suoi punti di riferimento insieme al papà, al nonno, a Bonatti e Messner. Ce lo racconta mentre commenta l’ultimo Tour, “il più bello che ho visto, con campioni come Van Aert e tanti giovani che stanno cambiando il ciclismo”.