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Dalla Costa Rica al mondiale di ciclocross: la storia di Felipe Nystrom

Per trovarlo nella classifica Uci bisogna far girare a lungo la rotellina del mouse, scendere fino alla posizione numero 171, tra il 49enne spagnolo Tomas Misser Vilaseca e il giovane canadese Noah Ramsey. Ma le classifiche, si sa, non vogliono dire nulla. Se si guardasse ad esempio la graduatoria dei presenzialisti in questo inverno di ciclocross, lo si troverebbe là in cima, tra le stelle.

Dallo scorso 23 dicembre, data di inizio del kerstperiode, la "settimana santa" del fango, Felipe Timoteo Nystrom Spencer non se ne è persa una, e ha proseguito: 11 ciclocross in un mese, più altri due per completare il filotto e chiudere la stagione con il campionato del mondo, per poi ri-impacchettare bici e bagagli e attraversare l'oceano verso casa. Una casa che da anni si trova a Portland, nello stato dell'Oregon, ma che non coincide con la maglia indossata da Felipe Nystrom, un caso quasi unico nella storia del ciclocross, il rappresentante internazionale della Costa Rica.

A nemmeno due mesi dal suo quarantesimo compleanno, Felipe Nystrom è arrivato in fondo alla sua seconda stagione da ciclocrossista professionista. I conti non tornano, ma è la vita intera di Nystrom a sorprendere. Un anno fa si iscrisse alle gare di Coppa del Mondo negli Stati Uniti, poi trascorse il Natale in Europa per correre a Ruchpen, Namur e Dendermonde e rientra infine negli Usa per il mondiale di Fayetteville. Suona bizzarro che si sia accollato la traversata per prendere solo un boccone del lauto pasto annuale del kerstperiode, ma Felipe lo spiega con disarmante onestà: "non sapevo che esistesse".

Perché Nystrom il ciclismo lo ha scoperto solo pochi anni fa, il ciclocross ancora dopo, senza averlo seguito da appassionato, senza aver fatto in tempo a conoscerlo, eppure gli ha - per certi versi - salvato la vita. In questi mesi di scorribanda nel ciclocross, la storia di Felipe è diventata un fatto noto. Ed è un lungo dramma: gli abusi subiti durante l'infanzia, i problemi di alcoolismo e tossicodipendenza, una relazione fallimentare con l'allontanamento dal suo unico figlio, la vita per strada, i ripetuti tentativi di suicidio. È dopo l'ultimo di questi, nel 2013, che Nystrom decide di tirare una riga e ripartire a zero.

"Sono entrato in comunità e dopo poco ho conosciuto una ragazza di Portland. Lei mi disse che voleva tornare negli Usa e io le risposi: vengo con te. Non era quello che si aspettava, tutti dicevano che non sarebbe funzionata tra noi… e non funzionò, ma ormai mi ero trasferito". Era un ritorno alle origini per Felipe, la cui madre è una statunitense di origini svedesi, ma anziché risalire le relazioni familiari si buttò in una storia nuova. E questa funzionò.

A Portland, Nystrom cominciò a studiare e a lavorare come traduttore, lo fa ancora, ma non sapeva come conoscere altre persone. Così decise di riprendere una cosa che aveva brevemente conosciuto da bambino: lo sport. "Mi proposero di fare triathlon, ma l'acqua era gelida e nuotare in mezzo alla folla è terrificante. Però per quanto perdessi nel nuoto finivo sempre per rimontare in bici, così qualcuno mi suggerì di passare al ciclismo". C'era un problema: Nystrom non aveva una bicicletta nè i soldi per comprarla. Aveva diritto di accedere a un prestito, ma aveva un nome e un accento stranieri, e negli Stati Uniti spesso basta questo per trovarsi le porte sbattute in faccia.

Se era arrivato fino a lì, però, non erano delle porte chiuse a poterlo fermare. Felipe recuperò una bici e scoprì un mondo, anche degli amici. Nel 2019 tornò in Costa Rica per incontrare suo figlio e, già che c'era, si iscrisse al campionato nazionale in linea. "Un amico mi seguiva in auto con mio figlio: l'idea era che quando mi sarei staccato mi avrebbero caricato e saremmo andati in spiaggia. Invece entrai in fuga e vinsi". Poi scoprì che negli Usa sarebbe arrivata questa cosa chiamata ciclocross. Ne ignorava l'esistenza, ma tempestò di chiamate la federazione perché lo iscrivessero ai mondiali. "Fui davvero insistente, alla fine mi dissero che se mi pagavo tutto io, persino la maglia, si poteva fare".

Il mondiale di un anno fa è stata l'ultima illuminazione per lui, la dimostrazione che i sogni si possono realizzare anche nel modo più balordo e inatteso. A Fayetteville, Nystrom ha trascorso una settimana di festa, ha partecipato a ogni evento con un entusiasmo contagioso, una gioia che era difficile non notare, e accogliere. L'idea di fare tutto il kerstperiode e farmarsi fino al mondiale è nata allora, ma c'è stato un senso comunitario a fare da motore al progetto di Felipe.

"Per un anno ho lavorato più che potevo per mettere da parte dei soldi, ma nel frattempo si è mosso tanto altro. Christian e Angelique di ChronoRace, che si occupano del cronometraggio in quasi tutte le corse, mi hanno offerto ospitalità in Belgio e prestato un'auto per andare alle gare. Altri mi hanno aiutato con le iscrizioni alle gare. Squadre, sponsor e negozi europei mi hanno sostenuto per gli aspetti meccanici, compreso un telaio rotto che sono riusciti a far sostituire a tempo di record… e in garanzia! È una cosa grandiosa che avevo già scoperto un anno fa: a Fayetteville non avrei mai corso se non fosse intervenuto un tipo in zona box quando mi trovavo con due gomme a terra. Accettai il suo aiuto e solo dopo scoprii che si trattava di Lars Boom, un ex campione del mondo! Io nemmeno sapevo chi fosse!".

E tanti altri si sono mossi per aiutarlo nell'aspetto più problematico: i soldi. Prima di partire Nystrom ha aperto un crowdfunding, che ha raccolto 3.500 dollari. "Io non ho sponsor, quindi sono super grato verso chiunque mi abbia aiutato. Stare un mese e mezzo in Europa per fare venti gare mi è costato 24mila dollari. Tutto ciò che è mancato l'ho ripagato io con il mio lavoro e ottenendo dei prestiti. Mercoledì torno a Portland e da giovedì ricomincio a lavorare e dovrò darci dentro per far quadrare i conti".

Ma l'amore che si riceve va sempre di pari passo con l'amore che si dà. La vita ha insegnato in maniera molto chiara questa lezione a Nystrom, così quando la scorsa estate una formazione spagnola, la Bizikleta.com, lo ha contattato per proporgli di correre per loro nella nuova stagione, Felipe ha risposto con il cuore in mano, fedele alla sua missione. "Gli ho detto che io sono un corridore morto, finito. Se volevano un ciclista della Costa Rica, che investissero su un talento, e così li ho messi in contatto con Joseph". Joseph è Joseph Ramirez, campione nazionale di Xco e… secondo costaricano a disputare un mondiale di ciclocross.

È accaduto sabato, nella prova U23, dopo due mesi di corse in Spagna, ed è successo grazie al suo connazionale più celebre. "Il mio obiettivo ora è solo farlo crescere, aiutarlo più che posso. Lo seguo in allenamento e lavoro per lui. Se l'anno prossimo ci saranno fondi o sponsor per tornare in Europa torneremo, ma se ci fossero fondi per uno solo, mi assicurerò che sia Joseph a gareggiare, non ci andrò io".

È difficile considerare questa ancora come una storia drammatica. Felipe Nystrom aveva diverse ragioni per lanciarsi in questa avventura, e diversi obiettivi sono stati raggiunti. "Aiutare il futuro del ciclismo del mio Paese è sempre stata la ragione più grande per fare tutto ciò. Ho guidato 10mila chilometri per andare a corse dove non sapevo nemmeno se sarei riuscito a partire, ma vedere Joseph partecipare alla Coppa del Mondo di Benidorm e ai mondiali è stato un sogno che si è realizzato".

Per trovare Felipe Nystrom negli ordini d'arrivo del mondiale bisogna scorrere fino alla 38esima e terzultima posizione: è stato doppiato al quinto giro (molto meglio si è comportato Joseph, che tra gli U23 ha resistito al doppiaggio e si è lasciato alle spalle otto avversari europei). Ma per trovare Felipe Nystrom al mondiale di Hoogerheide bastava seguire i boati e le ola: ogni suo passaggio era una festa inattesa, per lui e per tutti. "Sono esausto, ma se dovessi rifare tutto già domani non ci penserei un istante. La stanchezza non conta, quando puoi offrire al pubblico qualcosa per cui gioire e fare festa. Cari tifosi del ciclocross europei, siete leggendari". E detto da un'altra leggenda, c'è da fidarsi.

(credits foto: Picture by Alex Whitehead, profilo facebook UCI)