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Ultimo KM: Pogačar è il presente, non il "nuovo" qualcuno

Un tratto di strada di mille metri tra una settimana e l’altra. Un passaggio sotto la flame rouge per riordinare sette giorni di pensieri sparsi legati al mondo del ciclismo e non solo. Ultimo Km è la rubrica di Pietro Pisaneschi che riannoda i fatti del weekend e li intreccia con la mente fredda del lunedì mattina.

"Quando il presente è stopposo bisogna friggere il mito" scrisse una volta Gianni Mura in un suo articolo. Voleva fare riferimento al fatto che, in periodi sportivi poco entusiasmanti, giornalisti e appassionati sentano come impellente il bisogno di rievocare lo splendore del passato. Attualmente, è sempre più fuori controllo l'esigenza di dover per forza fare paragoni e confronti fino a ricercare forzatamente il passato nel presente.

Posso arrivare a comprendere la volontà di tirare in ballo il mito quando, per l'appunto, il presente regala un raro assortimento di emozioni ma trovo che la pratica sia del tutto fuori luogo nel ciclismo che stiamo vivendo negli ultimi anni. La qualità di fenomeni impegnati nelle corse di oggi è assoluta. Dai grandi giri alle classiche passando anche per le corse "minori", quando i big si muovono lo spettacolo è garantito.

È il caso ad esempio di Tadej Pogačar, assoluto protagonista della settimana appena trascorsa. In sei giorni di corsa nel 2023, lo sloveno dell'UAE Team Emirates ha ottenuto quattro vittorie più la classifica generale e a punti della Vuelta Andalucia Ruta del Sol. Aveva chiuso vincendo il suo secondo Lombardia, ha ripreso asfaltando gli sterrati della Jaén Paraiso, la corsa spagnola che vuole rivaleggiare con la nostra Strade Bianche. Impressionante.

C'è però già qualcuno che storce il naso dicendo "vince troppo, alla lunga stufa". E, di grazia, chi dovrebbe stufarsi di veder correre così? Senza calcoli, seguendo l'istinto e la voglia di vincere, dando battaglia in salita ossia là dove si è sempre fatta la storia del ciclismo. Rimpiangiamo scalatori del passato, incensiamo pseudo fenomeni che poi in realtà non lo sono, e finiamo per non riconoscerne uno quando lo vediamo.

Pogačar vince ed esalta. Le sue azioni riconciliano con lo sport che pratica. I recenti scontri con Enric Mas alla Ruta del Sol ne sono un esempio. Lo sloveno scatta in salita, regala spettacolo, è sempre il primo a lanciare il guanto di sfida agli avversari, da gennaio a ottobre (dato da non sottovalutare). È il più forte, sa di esserlo, il suo nome è come quello delle stelle di Broadway sul cartellone dello spettacolo: attira la gente. E vince, stravince, convince. Sono 51 le vittorie in carriera. A 24 anni c'erano riusciti in tre: Mark Cavendish, velocista puro, Peter Sagan, campione a tutto tondo e Eddy Merckx, il più grande di tutti.

Quello del cannibale è il nome che, durante il weekend (e non solo), è stato accostato a Pogačar sempre di più etichettato come "Il nuovo Merckx". La domanda che mi faccio io è: perché c'è così bisogno di dover per forza fare un paragone? Sentiamo così tanto l'esigenza di aggrapparci ad una figura del passato per comprendere qualcosa che stiamo vedendo adesso? Io credo sia superfluo, per non dire del tutto inutile. Pogačar è semplicemente Pogačar, è il presente che irrompe e non il passato che ritorna. Godiamocelo senza tanti sofismi.

(credits: sito web vueltaandalucia.es)