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Anonimo

Il più giovane e un Tour in famiglia

Come dev’essere correre un Tour de France a 20 anni? Nel nuovo millennio sono in pochi a poterlo dire: solo Danny van Poppel, Alexey Lutsenko e Fabio Felline hanno vissuto dal 2000 a oggi un’esperienza simile. A questa striminzita compagnia, tuttavia, quest’anno si sono aggiunti due corridori di belle speranze: uno è Lenny Martinez, promessa francese della Groupama-FDJ già in grado di mettersi ampiamente in mostra e cogliere successi discretamente rilevanti tra la scorsa e questa stagione, il secondo invece, meno conosciuto del coetaneo transalpino, è Johannes Kulset.

Sebbene non abbia conseguito vittorie nella sua ancor breve parentesi da professionista, al norvegese della Uno-X a inizio mese è toccato un onore non da poco ovvero quello di essere, con i suoi 20 anni e 76 giorni, il più giovane partecipante alla Grande Boucle 2024, un “titolo” che egli stesso non ha esitato a definire “super cool” quando con grande curiosità lo abbiamo intercettato al via da Firenze per capire quanto fosse emozionato e orgoglioso di prender parte alla corsa più importante del mondo dopo aver rischiato seriamente di non esserci.

La brutta caduta occorsa in allenamento a Sierra Nevada il 22 maggio, infatti, sembrava aver messo improvvisamente una pietra sopra al sogno di esser convocato per la corsa a tappe francese. Dopo il violento impatto facciale con l’asfalto avvenuto a grande velocità, Johannes era messo così male che, oltre a svariati punti, in ospedale si sono trovati costretti ad applicargli ben due placche ossee, una sulla guancia e una a livello del sopracciglio, un intervento non da poco per rimediare alle fratture riportate e facilitare la sua guarigione. Nonostante ciò, passato un momento iniziale di inevitabile scoramento, Johannes non si è arreso e, rinfrancato dalla velocità con cui giorno dopo giorno le cose miglioravano, appena 17 giorni dopo l’incidente ha ripreso ad allenarsi su strada tornando presto a credere di potercela fare e, soprattutto, dando sfoggio di grande carattere e determinazione.

“Dopo la caduta, ovviamente non pensavo che sarei andato al Tour, ma ho sempre creduto e lavorato duramente per arrivarci. Alla fine, mi sono ripreso bene e la mia forma è risultata essere abbastanza buona per prendere il via, quindi, sono super felice” ci ha detto sorridente poco prima di agganciare il pedale e iniziare un’avventura a due ruote di grande valore formativo in cui, per giovani come lui, è essenziale assorbire il più possibile e avere validi esempi da seguire.

“Io penso che cercherò di imparare molto da Tobias (Johannessen, ndr)” ci confida Johannes. “Ha fatto molto bene nel suo primo Tour l'anno scorso, quindi cercherò di fare lo stesso. Proverò a fare le cose giuste, mangiare abbastanza, dormire abbastanza e muovermi in maniera intelligente durante le tappe. Ovviamente poi proverò ad imparare anche dai ragazzi più esperti”.

In aggiunta alle dritte di chi il Tour l’ha già disputato e ai suggerimenti di chi è abituato a calcare palcoscenici simili, se mai ne avesse bisogno Johannes al Tour sa che potrà contare e appoggiarsi in ogni momento su una figura per lui unica, una figura che è sempre stata al suo fianco e che, a seconda delle circostanze, può dispensare preziosi consigli, rasserenare il suo animo o incoraggiarlo a dovere dopo averne raccolto confessioni, dubbi e impressioni: suo padre.

Da CEO di Uno-X Mobility AS (posizione a cui è arrivato passando anche dagli studi fatti all’Università Bocconi di Milano) anche Vegar Kulset, infatti, viaggia al seguito della squadra impegnata alla Grande Boucle e, così facendo, può garantire se necessario al più giovane dei suoi figli quel sostegno che non è mai mancato in passato e attraverso il quale Johannes è arrivato a essere della partita quest’anno nel grande valzer giallo di luglio.

“Mio padre significa tutto per me. È il mio sostenitore numero uno, mi ha sempre supportato, non sarei qui senza di lui. Per me è molto importante che sia a seguire la gara lungo il percorso”.

Importante anche perché, come si deduce dal pensiero che Johannes completa non trattenendo un filo d’emozione, dalle sue parole può ricevere la tranquillità giusta per non farsi travolgere da una manifestazione che, per la sua grandezza, il suo nome e la sua visibilità, può facilmente disorientare.

“Ho già fatto qualche gara World Tour ma qui tutto è estremo. Ci sono così tante persone e così tanti media. Quello che mi ha detto è godermi il momento, divertirmi e cercare di rimaner calmo. Ho solo 20 anni, ho diversi anni di carriera davanti a me quindi niente stress e assaporiamo il momento”.

Appare subito chiaro dunque, ascoltando le parole di Johannes, come Vegar non sia affatto un padre ossessivo, uno di quelli che assilla, spinge a ogni costo il proprio figlio per vederlo primeggiare e ne controlla vita e decisioni. Al contrario, e lo comprendiamo chiacchierando direttamente con lui, Vegar è una persona che mette la serenità degli altri al primo posto, ha nella cordialità (espressa a volte parole, a volte con un semplice sorriso) un grande punto di forza e, come si evince quando gli si chiede quanto sia orgoglioso di Johannes, crede in una serie di valori importanti.

“Ovviamente sono orgoglioso di lui, ma è un orgoglio legato non solo al fatto che è bravo a correre in bicicletta perché conosco molti altri ragazzi e ragazze che fanno di tutto per raggiungere il livello più alto e che lavorano duramente. Io, ad esempio, ho altri tre figli che lavorano esattamente come Johannes, ma non hanno raggiunto lo stesso livello e sono ugualmente orgoglioso di tutti loro perché sono laboriosi, disciplinati e bravi ragazzi. Quindi, tornando a Johannes, sono molto felice perché ha raggiunto uno dei suoi sogni e obiettivi, vado fiero di lui ma lo sono principalmente perché è una brava persona e un ragazzo che lavora duro”.

Vegar poi ha anche uno sguardo lucido e onesto sulla realtà che lo circonda e questo, applicato al ciclismo, fa sì che l’analisi sui margini di miglioramento, sulle aspirazioni e sullo sviluppo di Johannes come corridore risulti quantomai sincera e puntuale.

“Potenzialmente può migliorare in tutto perché ha solo 20 anni e ha iniziato ad allenarsi seriamente durante il Coronavirus nel 2020. È giovane non solo per la sua età anagrafica ma anche come ciclista. Chiaramente, pesando solo 60 chili, ha naturali doti da scalatore, ha una VO2 max molto, molto alta e quindi ovviamente ha grande potenziale sulle salite, però è un ragazzo che ama ogni tipo di gara, gli piace correre, non punta a far bene solo sulle montagne o in corse dal profilo collinare, vuole competere su più fronti. Penso che il suo più grande sogno siano probabilmente i Grandi Giri ma so che sogna anche di fare molte classiche, specialmente quelle delle Ardenne ma anche le Strade Bianche…questo perché è proprio corridore dentro”.

Ciò forse spiega anche perché, dopo quello che gli è successo il 22 maggio scorso, egli ha dichiarato che la sua paura più grande non è quella di cadere di nuovo, bensì di perdere, un’esternazione questa a cui Vegar non fatica a credere visto anche ciò che ha constatato di persona al fianco di Johannes quando ha ricominciato a uscire su strada. 

“Ho pedalato con Johannes la prima volta all'aperto dopo la caduta ed ero curioso di vedere se potesse essere spaventato. Dopo due o tre minuti abbiamo incontrato la prima discesa e non sono riuscito a seguirlo. Nel momento in cui è tornato in strada, ha subito ripreso ad andare full gas e tutto era già alle spalle. O quantomeno mi è sembrato così. Perché non puoi essere mai dentro la testa di un'altra persona, nemmeno di tuo figlio, perciò non so con certezza al 100% cosa ci sia dentro la sua, ma sembra che abbia messo tutto alle spalle”. Anche da questo aneddoto realizziamo che ciò di cui non difetta Johannes sono il carattere e, in particolare, la mentalità, “qualcosa su cui lavora lui stesso in prima persona”, dice Vegar e che “lo porta molto velocemente a risettarsi su ciò che lo aspetta”.

Vegar quindi, più che instradare professionalmente questo spirito secondo la propria univoca visione e tartassandolo di istruzioni, lo accompagna con dolcezza e rispetto chiarendo le perplessità del caso o fornendogli, qualora gli venga richiesto, il proprio punto di vista e una possibile ottica con cui inquadrare le cose in modo che Johannes possa sviluppare il proprio pensiero e vivere a suo modo le esperienze che la carriera da ciclista gli offre. Il tutto restando il ragazzo che è sempre stato.   

“Più che dargli consigli lo incoraggio a essere quello che è sempre stato, a non cambiare, a continuare a essere un ragazzo educato e buono, perché è la cosa più importante per me, come padre, che continui ad essere così e che, ovviamente, continui a divertirsi sulla bici, resti sempre positivo e cerchi di godersi tutto. Mi sembra che lo stia facendo. Non gli dico di fare questo o quest’altro. Non sono il suo allenatore o il suo coach e non voglio esserlo perché sono suo padre. Ovviamente, sono interessato e so abbastanza sullo sport di alto livello e sul ciclismo, ma non sono uno di quelli che controlla ogni sua mossa e gli dice di fare ogni cosa. Sono una persona a cui se vuole può chiedere qualsiasi cosa, discuterne, parlarne. Lui sa che ci sono se ha bisogno di me”.

Anche durante la corsa di ciclismo più importante del mondo, il Tour de France, una corsa che i due vivranno fino in fondo spalla a spalla e che, l’uno da padre e l’altro da figlio, siamo sicuri entrambi non dimenticheranno.

(Photo credits: Federico Guido)