Fabia Maramotti, vittoria da romanzo
Un colpo di sole che avrebbe abbattuto chiunque, la bicicletta quasi portata via da un tornado, le allucinazioni nel deserto, una lotta continua con il sonno fino alla salvezza dell’olio di oliva bevuto come fosse un gatorade all’ennesima potenza. Più che una gara di ultracycling, la vittoria di Fabia Maramotti all’ultima Race Across the West (Raw) è un romanzo lungo tre giorni, un’ora e 42 minuti. Non a caso è diventato un docufilm in onda su Prime Video, con 15 minuti visibili qualche sera fa all’Upcycle Cafè di Milano alla presenza della 29enne triatleta di Reggio Emilia, accompagnata dal suo coach Stefano Massa e dal regista Andrea Bauce.
È stato un viaggio molto umano al limite delle possibilità umane, reso ancora più piacevole dalla simpatia di Fabia che ha raccontato col sorriso momenti di difficoltà estrema di questa gara di resistenza pazzesca negli Stati Uniti: 1.500 chilometri con 15.000 metri di dislivello da Oceanside in California sul Pacifico a Durango in Colorado. In mezzo oltre 800 chilometri di deserto a più di 40 gradi con rettilinei da miraggi oltre l’orizzonte. È stato quello il terreno delle difficoltà più profonde. Fabia viene colta presto da un tremendo colpo di sole che la lascia quasi incosciente con gli occhi riversi per dieci minuti. “Solo un’atleta con capacità uniche avrebbe potuto ripartire”, racconta Massa. Il prosieguo del viaggio nel deserto è scandito da un continuo idratarsi con ogni bevanda e raffreddare la temperatura con ghiaccio sul collo e sulle gambe. Il van, che segue l’impresa per ogni necessità (a bordo anche il fidanzato Michelangelo Biondi, l’amico Guido Petrucci e Bauce), è l’unica fonte di ombra nelle interminabili ore a pedalare in questo vallone bollente e inospitale.
Fabia alterna la bici da triathlon con quella da corsa per limitare la noia ed evitare eccessi di una postura identica per troppo tempo. Sarà proprio la bici da corsa a volare quasi via sulle prime rampe della salita che porta verso il Colorado a causa di un violento tornado. “L’ho afferrata per un pelo, per poco non volavo via anch’io”, ricorda l’atleta reggiana. Pare quasi di vederla come una trasposizione ciclistica di Mary Poppins e il suo ombrello volante. Sono molteplici i problemi, soprattutto la necessità di non addormentarsi per arrivare prima possibile al traguardo. È una lunga serie di micro-sonni da 10 minuti, mai una vera dormita. La tentazione di chiudere gli occhi è forte anche in sella, soprattutto nelle lunghe discese: “In quel momento dal van mi tenevano sveglia intonando canzoni, facendomi le domande più assurde, spingendomi perfino a fare calcoli o ripetere le tabelline”, dice Fabia sempre col suo sorriso che non cede mai alla voglia di vantarsi per la grande impresa.
Bisogna avere una forza mentale che va oltre la già poderosa preparazione fisica. È scontato, ad esempio, in quella traversata folle nel deserto avere le allucinazioni. “E non è una bella cosa se non si è preparati ad affrontarle”, spiega coach Stefano. Ed è inevitabile finire stremati sulle rampe dell’ultima interminabile salita che porta verso l’arrivo di Durango. L’ascesa finale complessivamente è lunga oltre 100 chilometri con oltre 5.000 metri di dislivello (quasi tre volte lo Stelvio dal versante altoatesino) e punte vicine al 20%. Infatti, Fabia fa una fatica enorme. Il corpo è oltre ogni limite. Così Massa usa l’arma calorica più potente in questi casi: l’olio di oliva. Fabia lo tracanna per riprendersi. Gli spettatori dell’Upcycle Cafè si guardano stupiti perché pochi sono a conoscenza di questo potere dell’olio. Anche grazie a questa spinta alimentare della disperazione, Maramotti arriva a Durango prima di tutte vincendo la Race Across the West femminile dopo non aver dormito per tre giorni. “Ma non pensate a grandi feste all’arrivo, non c’era nessuno, solo noi. I ciclisti, in gare così, arrivano distanziati di 5-6 ore. Non c’è nessun tifoso sano di mente che seguirebbe una gara così all’arrivo. Non succede niente per una mattina o un pomeriggio intero”, ride Massa. Vedere le immagini e ascoltare le parole di Fabia proietta in una dimensione quasi onirica per l’enormità dello sforzo che spinge corpo e mente quasi ad annullarsi nell’amore per una fatica totalizzante.
Adesso l’obiettivo della triatleta emiliana è la Race Across America (Raam), la prova di ultracycling più lunga al mondo: 5.000 chilometri, dal Pacifico all’Atlantico e 52.000 metri di dislivello. Più di tre volte la Raw. Fabia ha messo anche questa vittoria tra le ambizioni di una carriera di sfide impossibili, nata a 15 anni quando le chiesero di attraversare la Manica a nuoto. Il tratto di mare tra Francia e Gran Bretagna, 14 anni dopo, è diventato un oceano di follie sportive affrontate con una grinta titanica avvolta da un dolce sorriso.