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Romolo Stanco + 3D printing

Alessia Bellan

Non solo numeri, la vera anima della performance

Performance ManifestoL'hanno ridotta a meri numeri - watt, grammi, secondi, classifiche – ma forse non tutti sanno che l’origine dell’abusato anglicismo deriva dal latino, per-formare, ovvero dare forma. Non misurare, come largamente ritenuto, bensì creare. Se è vero che il termine performance è ormai diventato sinonimo di successo quantificabile, iper misurabile sotto ogni aspetto e che lascia poco margine all’immaginazione, la vera performance va invece ben oltre i marginal gain, oltre l'ottimizzazione di quello che esiste già, oltre la riduzione dell'uomo a un insieme impersonale di metriche, di scelte misurabili e quantificabili, oltre alla replicabilità. Lo sa bene Romolo Stanco - architetto, designer, specializzato in fisica dei materiali metallici avanzati, fondatore delle avveniristiche aziende TOOT Engineering e TRED Bikes – che ha portato nel ciclismo una lunga esperienza maturata nel motorsport, nell'industrial design, nel biomedicale e nell'architettura. Con un solo scopo: progettare quello che non esiste e farlo con un'etica che parta e ruoti interamente intorno al soggetto primario, l'uomo, la donna, l'atleta. In una sfida unica e personale, non assoggettata all’oggettività esclusiva dei soli calcoli matematici, e che non può essere ridotta a un insieme impersonale di numeri, quantità e risultati. La teoria di Stanco, raccontata nel suo nuovo libro Performance Manifesto edito da Officine Gutenberg, cerca di restituire a questa parola la sua anima originale raccontando una terza via, quella dell’innovazione radicale, della rivoluzione, attraverso il racconto di dieci "invisibili indispensabili". 

Stanco e Van SchipGeni che hanno dato forma al futuro dello sport nell’ombra, lontani dai riflettori, figure che hanno spostato i limiti della performance progettando tutto intorno all'uomo. Non è l’atleta che si adatta al prodotto ma il prodotto che va costruito come un abito sartoriale attorno all’uomo. C’è Graeme Obree, che costruisce in garage la bici con cui batte il record dell'ora. Mike Burrows, ostracizzato dall'industria per le sue visioni. E ancora Rory Byrne, il chimico dell'aria che ridisegna la Formula 1 intorno a Michael Schumacher, mentre Pierre Terblanche sfida Ducati dall'interno. Jan-Willem van Schip viene preso di mira dall'UCI per la sua voglia di sperimentare e ancora Kevin Czinger rivoluziona la produzione automobilistica e poi finisce a costruire nientemeno che droni militari. Antieroi, figure che lottano contro un sistema che preferisce la sicurezza della tradizione al salto nel vuoto pieno di rischi dell’innovazione. Per loro "performance" non è un risultato da misurare ma un atto creativo, geniale verrebbe da dire, che mette al centro l'atleta - con la sua passione, le sue ambizioni, la sua unicità - non il prodotto, non il numero.

Dalle loro storie emergono i principi del Performance Manifesto, una serie di linee guida che ridefiniscono cosa significhi progettare per la prestazione, guardando alle regole come uno stimolante perimetro della sfida e non come gabbia all’interno della quale muoversi costretti. Con la prefazione di Franco Bortuzzo, storico caposervizio Rai, vent'anni di onorata carriera tra Formula 1 e ciclismo, Performance Manifesto è un vero e proprio atto di ribellione. Una rivincita della qualità a discapito della quantità. Perché progettare performance significa rispetto, fiducia nell'unico, sfidare i limiti che hanno le ore contate.