Omar Di Felice: "Il mio Antartide"
Da essere un “luogo fantastico” in cui, chiudendo gli occhi, andava a rifugiarsi, dall’avere le sembianze (per dirla con le parole del suo coach Fabio Vedana) di un “Sogno incastonato nel profondo dell’animo” a diventare concreto, una realtà tangibile, un contesto toccato con mano, incredibilmente esigente ma terribilmente affascinante. In mezzo a tutto ciò, momenti duri, prese di consapevolezza e anche riscoperte: l’Antartide di Omar Di Felice, a suo dire “Il posto emotivamente più alto in cui un essere umano può pensare di arrivare”, è stata un alternarsi di gioia e frangenti critici, sofferenza e realizzazione, un viaggio lungo, complesso e denso di significato, non solo da un punto di vista sportivo e scientifico ma anche a livello umano e personale.
A raccontarlo ai nostri microfoni è stato lo stesso ultracyclist romano poco prima della première a Milano del docufilm relativo alla sua avventura verso il Polo Sud “White Out - Oltre l’Antartide”, prodotto insieme a Different Media (con la regia di Nicolò Padovani).
Cosa rappresenta per lei questa avventura?
"È stata la mia ricerca personale più grande. Nasce da un sogno e poi si completa attraverso i due tentativi che ho realizzato sin qui".
Il momento più difficile è quello che invece porterà più nel cuore di questa avventura antartica?
"Il più difficile è stato sicuramente quando mi sono ritirato dal primo tentativo: quando il piccolo aereo che mi ha portato via dall'Antartide si è staccato da terra, per me quello è stato il momento peggiore, il più brutto, perché non avevo la sicurezza che sarei riuscito a ritornare lì. In quel frangente vedevo solamente anni di lavoro, sogni, sacrifici, dedizione e allenamento sfumare in pochi giorni. Il momento che porto maggiormente nel cuore è stato invece quando ho rimesso di nuovo piede in Antartide e mi sono reso conto che stavo riuscendo a mantenere vivo il sogno e avevo avuto una seconda chance. In quel momento mi sono sentito grato alla vita perché non c'è mai niente che non si possa risolvere".
Su quali aspetti, a livello di narrazione cinematografica e scritta, ha voluto insistere e mettere l'accento?
"Sebbene l'avventura resti la stessa, il libro e il film hanno due declinazioni leggermente diverse. Nel libro, anche perché è scritto in prima persona, ho cercato di tirare fuori un po' più la parte emotiva, personale e intima di ciò è stata l'avventura in Antartide soffermandomi sulle emozioni che ho provato. Nel docufilm invece, al di là degli aspetti visivi che da soli raccontano quella che è la bellezza del luogo, sono presenti anche i riferimenti a tutti gli altri temi legati alla spedizione che, nell'occasione, vengono trattati attraverso l'alternarsi delle voci di Luca Parmitano, Hervé Barmasse, Serena Giacomin, il mio coach Fabio Vedana ed Elisa Palazzi".
Con quale approccio un lettore o uno spettatore dovrebbero avvicinarsi a questi due tipi di prodotti?
"Credo che chi legga il libro possa avere successivamente la curiosità di vedere le immagini di quei posti. Nel libro infatti ci sono alcune foto, ma quelle che sono le suggestioni che cerco di stimolare attraverso la lettura, secondo me, vengono veicolate in video con un effetto un po' più 'wow'. Al contrario, a chi vede il film penso possa venir voglia di approfondire da un punto di vista più umano e intimo cosa io abbia vissuto, un aspetto che nel libro è presente perché racconto in prima persona e vi riporto (in maniera rielaborata) tutto ciò che ho annotato in presa diretta mentre ero lì nei due grandi diari che ho scritto con non poca difficoltà mentre ero nel luogo più estremo del pianeta".
Tre aggettivi o tre parole quindi per definire questa avventura.
"Magica, unica e bianca".
(Photo credits: Marta Baffi e Federico Guido)