Pusateri: "Superare ogni limite"
Andrea Pusateri e il ciclismo rappresentano un connubio affascinante: la storia di un atleta e di una persona che ha lottato per far sì che i propri sogni potessero divenire realtà. Nato a Monfalcone nel 1993, la sua carriera inizia da piccolissimo dopo il grave incidente che l’ha visto coinvolto all’età di tre anni e mezzo alla stazione di Monza.
Quando è scattato l’amore per il ciclismo?
“La mia passione per il ciclismo è iniziata da bambino. Ho imparato ad andare in bicicletta a 4-5 anni, al parco di Monza. Anche se pedalavo con una gamba sola, andare in bici mi faceva sentire libero e veloce come chiunque altro”.
Ha dovuto superare anche il grave incidente in allenamento del 2015
“Dopo l’incidente, non ho mai nemmeno pensato per un secondo di smettere di gareggiare. Stavo preparando da un anno intero una gara importante: la Coppa del Mondo 2015 a Maniago, che era il mio obiettivo principale. Nonostante l’incidente e senza la convocazione della Nazionale, ho voluto comunque partecipare come campione italiano in carica. Nessuno credeva in me: venivo da una situazione difficile. Una settimana di coma, un mese di ospedale e due mesi senza potermi allenare su strada, pesavo solo 40 kg. Ma avevo una fame di vittoria enorme e quella gara l’ho vinta battendo leggende del paraciclismo. La voglia di superare ogni limite è stata più forte di tutto”.
Cosa l'ha aiutata a crescere come atleta?
“Il cambiamento che ho vissuto è stato soprattutto mentale. Ho affrontato tante sfide nella vita e ho cambiato sport, passando anche all’Ironman e all’Ultra Cycling, esperienze che mi hanno fatto crescere come atleta e persona. A livello mentale, ho imparato che la preparazione fisica è importante, ma quello che conta davvero è come affronti la fatica, la paura e le sconfitte. Si vince poche volte, ma è proprio dalle sconfitte che si impara e si cresce. Inoltre, conoscere persone diverse e vedere nuove prospettive mi ha dato una visione più ampia della vita e mi ha reso un atleta e una persona più forte”.
Essere un atleta cosa significa per lei?
“Lavorare duramente 365 giorni all’anno, fare sacrifici e rinunce costanti. Richiede dedizione e impegno totale. Purtroppo, c’è ancora chi vede il settore paralimpico quasi come un hobby, pensando che sia solo uno svago per chi ha una disabilità. Ma non è così. Il livello di preparazione atletica è altissimo e i risultati parlano da soli: vado più veloce di molti amatori, anche se loro hanno due gambe. Però tante persone non lo capiscono, e questo mi dispiace. Per me, essere un atleta significa superare ogni aspettativa e dimostrare che la determinazione non ha limiti”.
Cosa significa per lei gareggiare? E che rapporto ha con le competizioni?
“Gareggio nel ciclismo dall’età di 14 anni e forse è l’unica cosa che so fare veramente bene. Ancora oggi provo le stesse emozioni di allora: un mix di paura e felicità che mi fa sentire vivo. Le competizioni sono una sfida continua, non solo contro gli altri ma anche contro me stesso, e mi danno la possibilità di misurare i miei progressi e spingermi sempre oltre. Per me gareggiare significa dare tutto ciò che ho, cercando di superare ogni limite fisico e mentale, e scoprire di cosa sono capace. È una passione che mi tiene in movimento e che dà significato a ogni allenamento”.