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Cicloturismo nell'Oltrepò Pavese: ecco un itinerario testato per voi!
Valle dello Staffora, Oltrepò Pavese; distesa tra dolci colline, questa valle è stata, fin dal XIV secolo, importante snodo commerciale ed antica via di collegamento tra Mar Ligure e la pianura Padana. Potente marchesato dei Malaspina, qui ancora oggi si respira aria di medioevo, tra svettanti torri di guardia, eremi solitari e castelli inaccessibili.
Noi partiamo da Godiasco (196 mslm), sulla SP461 R in direzione Varzi ; 7 chilometri di buon riscaldamento in leggero falsopiano attenti al traffico che corre veloce, fino ad arrivare a Ponte Nizza. Svoltiamo subito a sinistra ed iniziamo gradualmente a risalire l'omonima valletta laterale. Dopo circa un paio di chilometri, prendiamo a destra in direzione Eremo di S. Alberto. L'ambiente è tipicamente agreste; piccoli borghi contadini, case sparse e trattori al lavoro nei campi. La salita è subito dura ; la stradina si impenna bruscamente con pendenze superiori al 10-12%, superando il pendio spoglio della collina.
Secchi tornanti e brevi, micidiali rettifili, fino al bivio di Pizzocorno. Una brevissima e provvidenziale tregua, ma poi, entrando nel bosco, la pessima qualità del manto stradale, sgranato e sconnesso, contribuisce non poco alla difficoltà intrinseca della salita; in qualche punto si tocca anche il 16/17 per cento. Alla fine saranno 4 chilometri al 10% medio; a quota 750 mslm, la stretta lingua d'asfalto taglia un falsopiano in leggerissima discesa.
E improvvisamente eccolo sbucare dalla boscaglia; l'emozionante vista dell'eremo, che si staglia solenne sopra una rupe a dominare la valle, toglie letteralmente il fiato. Dentro si respira un'atmosfera fatta di preghiere, umile lavoro e silenzio. Un mondo dove il motto "ora et labora" è ancora valido per i monaci che osserviamo pregare ed intenti a studiare i sacri testi nella piccola chiesetta. Capolavoro di architettura medioevale, fu fondato dall'eremita Alberto e finanziato dai Malaspina e per molti secoli potentissimo cenobio.
Un magico incanto che non può lasciarci indifferenti, così come un terribile muro che ci riporta sulla strada. 400 metri di terrore cicloturistico, ci riportano sulla parte più caratteristica del percorso. Ampie zone prative si alternano a fitti boschi popolati da caprioli e cinghiali; in leggera discesa con 4/5 strappi tagliagambe, il sentiero resta in quota sul crinale zigzagando continuamente per 10 chilometri. In lontananza si scorge la torre della roccaforte di Oramala, prima dimora e simbolo del potere dei Malaspina.
Alla fine di un ultimo strappo, arriviamo al castello che, visto da vicino evoca ancora qualche timore, a 758 mslm. Abbiamo percorso 20 chilometri. La vista ci lascia senza parole; si domina la valle, colline a perdita d'occhio, le montagne a fare da corona, mentre il vento riempie un silenzio assoluto. In giro non si vede anima viva. La discesa su Varzi è un tuffo a picco senza protezione; curve secche e mano sui freni a controllare la velocità, sopra un corridoio che scende precipitosamente a valle.
A Varzi si piega a sinistra e, superato il centro storico, si inizia a salire verso Pietra Gavina a 729 mslm. La salita è molto regolare; lunga 6 chilometri, non presenta nessuna difficoltà. Pendenze regolari fra 5 e 6% e ampia sede stradale, si sale godendosi un panorama di verdi prati colorati e boscaglie, dove spicca inconfondibile la temibile sagoma del maniero di Oramala.
Il borgo fortificato di Pietra Gavina domina la Valle del Tidone; arrivati al castello posto a guardia delle case, un durissimo tratto di circa 1 km ci conduce all'imbocco di una strada laterale che ci riporta con un'altra breve, ma difficile discesa ancora a Varzi. Completamente nascosta alla vista, con pendenze da brividi alla schiena taglia uno scosceso pendio passando da Rosara e sbucando a fianco del municipio di Varzi. Qui riprendiamo ancora la statale sul fondo valle che in 20 velocissimi chilometri ci riporta al nostro capolinea di giornata. Un breve giro di 60 chilometri con 900 metri di dislivello, che ci ha riportato indietro nel tempo.
Graziano Majavacchi
Noi partiamo da Godiasco (196 mslm), sulla SP461 R in direzione Varzi ; 7 chilometri di buon riscaldamento in leggero falsopiano attenti al traffico che corre veloce, fino ad arrivare a Ponte Nizza. Svoltiamo subito a sinistra ed iniziamo gradualmente a risalire l'omonima valletta laterale. Dopo circa un paio di chilometri, prendiamo a destra in direzione Eremo di S. Alberto. L'ambiente è tipicamente agreste; piccoli borghi contadini, case sparse e trattori al lavoro nei campi. La salita è subito dura ; la stradina si impenna bruscamente con pendenze superiori al 10-12%, superando il pendio spoglio della collina.
Secchi tornanti e brevi, micidiali rettifili, fino al bivio di Pizzocorno. Una brevissima e provvidenziale tregua, ma poi, entrando nel bosco, la pessima qualità del manto stradale, sgranato e sconnesso, contribuisce non poco alla difficoltà intrinseca della salita; in qualche punto si tocca anche il 16/17 per cento. Alla fine saranno 4 chilometri al 10% medio; a quota 750 mslm, la stretta lingua d'asfalto taglia un falsopiano in leggerissima discesa.
E improvvisamente eccolo sbucare dalla boscaglia; l'emozionante vista dell'eremo, che si staglia solenne sopra una rupe a dominare la valle, toglie letteralmente il fiato. Dentro si respira un'atmosfera fatta di preghiere, umile lavoro e silenzio. Un mondo dove il motto "ora et labora" è ancora valido per i monaci che osserviamo pregare ed intenti a studiare i sacri testi nella piccola chiesetta. Capolavoro di architettura medioevale, fu fondato dall'eremita Alberto e finanziato dai Malaspina e per molti secoli potentissimo cenobio.
Un magico incanto che non può lasciarci indifferenti, così come un terribile muro che ci riporta sulla strada. 400 metri di terrore cicloturistico, ci riportano sulla parte più caratteristica del percorso. Ampie zone prative si alternano a fitti boschi popolati da caprioli e cinghiali; in leggera discesa con 4/5 strappi tagliagambe, il sentiero resta in quota sul crinale zigzagando continuamente per 10 chilometri. In lontananza si scorge la torre della roccaforte di Oramala, prima dimora e simbolo del potere dei Malaspina.
Alla fine di un ultimo strappo, arriviamo al castello che, visto da vicino evoca ancora qualche timore, a 758 mslm. Abbiamo percorso 20 chilometri. La vista ci lascia senza parole; si domina la valle, colline a perdita d'occhio, le montagne a fare da corona, mentre il vento riempie un silenzio assoluto. In giro non si vede anima viva. La discesa su Varzi è un tuffo a picco senza protezione; curve secche e mano sui freni a controllare la velocità, sopra un corridoio che scende precipitosamente a valle.
A Varzi si piega a sinistra e, superato il centro storico, si inizia a salire verso Pietra Gavina a 729 mslm. La salita è molto regolare; lunga 6 chilometri, non presenta nessuna difficoltà. Pendenze regolari fra 5 e 6% e ampia sede stradale, si sale godendosi un panorama di verdi prati colorati e boscaglie, dove spicca inconfondibile la temibile sagoma del maniero di Oramala.
Il borgo fortificato di Pietra Gavina domina la Valle del Tidone; arrivati al castello posto a guardia delle case, un durissimo tratto di circa 1 km ci conduce all'imbocco di una strada laterale che ci riporta con un'altra breve, ma difficile discesa ancora a Varzi. Completamente nascosta alla vista, con pendenze da brividi alla schiena taglia uno scosceso pendio passando da Rosara e sbucando a fianco del municipio di Varzi. Qui riprendiamo ancora la statale sul fondo valle che in 20 velocissimi chilometri ci riporta al nostro capolinea di giornata. Un breve giro di 60 chilometri con 900 metri di dislivello, che ci ha riportato indietro nel tempo.
Graziano Majavacchi