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Sonniferi, alcool, cocaina. Salviamo i corridori!
Dietro una parte di mondo, piccola e parziale, che vediamo o ci viene mostrata, ne troviamo sempre un'altra nascosta, più ampia e profonda. Questo vale, naturalmente, anche per il ciclismo. Molti di voi avranno letto del vero e proprio grido di allarme lanciato da Massimo Besnati, medico sociale della Katusha. Sapeva dei problemi di cocaina di Paolini. Sapeva che faceva uso di sonniferi per provare a dormire e ridurre tutta quella fatica e stress da prestazione che aveva attanagliato il corridore italiano. Besnati ha poi rincarato la dose, parlando di tanti corridori professionisti che fanno uso, contemporaneamente, di alcool, sonniferi e, a volte, del cosiddetto snuff, una miscela di tabacco da fiuto a scopo eccitante.
[1;65]I ritmi massacranti a cui sono sottoposti gli atleti nell'arco di una stagione possono essere solo una parte della spiegazione: oltre alle migliaia di km che mettono nelle gambe pedalando, questi ragazzi si sobbarcano spesso viaggi a varie latitudini del mondo, cambiano fusi orari e condizioni climatiche. Senza dimenticare la fatica e l'esigenza di essere sempre al top della condizione fisica e mentale, soprattutto quando affrontano corse a tappe. Ovviamente non è una giustificazione, ma al tempo stesso è bene capire che si tratta di uomini, ancor prima che atleti, sottoposti ad un vero e proprio tour de force. A moltiplicare gli effetti di questa situazione anche le aspettative e le pressioni legate ai risultati.
Il discorso è forse troppo lungo e articolato per essere sviscerato e analizzato nelle poche righe di un articolo. Una realtà che riguarda il mondo dei medici del ciclismo, che dovrebbero essere i primi tutelatori della vita degli atleti, è che molti di questi non prendono il ciclismo come prima loro attività, ma magari come terza o quarta. Ciò significa non poter curare con meticolosità la salute di ogni corridore. Inoltre, è vero che ogni professionista è parte di una squadra, ma è altrettanto vero che ha tanti momenti di solitudine, in cui ciascuno decide autonomamente come gestirsi e farsi seguire da figure di altra natura, come il preparatore, il dietologo, il procuratore o l'addetto stampa.
Curare la propria immagine e la propria forma fisica è un lavoro che richiede impegno a tempo pieno. E richiede dunque una bella dose di responsabilità.
Sentiamo spesso dire che il medico nel ciclismo professionistico è troppo servo del sistema. Contratti annuali lo legano ai team manager e alla volubilità del corridore. Il medico perfetto è quello, generalmente, che non fa troppe domande e lascia correre sulle situazioni più delicate. A lui viene rinnovato il contratto senza storie. In caso contrario, ci si può ritrovare alla finestra.
La denuncia di abusi nel mondo dei pro, fatta dal professor Besnati, deve avere una sua valenza e una sua attenzione. Senza trascurare però quelle centinaia di atleti che interpretano la propria carriera sportiva in maniera pulita, intelligente e misurata. E che sanno benissimo che la proprio vita viene prima di qualsiasi vittoria...
Luca Gregorio
[1;65]I ritmi massacranti a cui sono sottoposti gli atleti nell'arco di una stagione possono essere solo una parte della spiegazione: oltre alle migliaia di km che mettono nelle gambe pedalando, questi ragazzi si sobbarcano spesso viaggi a varie latitudini del mondo, cambiano fusi orari e condizioni climatiche. Senza dimenticare la fatica e l'esigenza di essere sempre al top della condizione fisica e mentale, soprattutto quando affrontano corse a tappe. Ovviamente non è una giustificazione, ma al tempo stesso è bene capire che si tratta di uomini, ancor prima che atleti, sottoposti ad un vero e proprio tour de force. A moltiplicare gli effetti di questa situazione anche le aspettative e le pressioni legate ai risultati.
Il discorso è forse troppo lungo e articolato per essere sviscerato e analizzato nelle poche righe di un articolo. Una realtà che riguarda il mondo dei medici del ciclismo, che dovrebbero essere i primi tutelatori della vita degli atleti, è che molti di questi non prendono il ciclismo come prima loro attività, ma magari come terza o quarta. Ciò significa non poter curare con meticolosità la salute di ogni corridore. Inoltre, è vero che ogni professionista è parte di una squadra, ma è altrettanto vero che ha tanti momenti di solitudine, in cui ciascuno decide autonomamente come gestirsi e farsi seguire da figure di altra natura, come il preparatore, il dietologo, il procuratore o l'addetto stampa.
Curare la propria immagine e la propria forma fisica è un lavoro che richiede impegno a tempo pieno. E richiede dunque una bella dose di responsabilità.
Sentiamo spesso dire che il medico nel ciclismo professionistico è troppo servo del sistema. Contratti annuali lo legano ai team manager e alla volubilità del corridore. Il medico perfetto è quello, generalmente, che non fa troppe domande e lascia correre sulle situazioni più delicate. A lui viene rinnovato il contratto senza storie. In caso contrario, ci si può ritrovare alla finestra.
La denuncia di abusi nel mondo dei pro, fatta dal professor Besnati, deve avere una sua valenza e una sua attenzione. Senza trascurare però quelle centinaia di atleti che interpretano la propria carriera sportiva in maniera pulita, intelligente e misurata. E che sanno benissimo che la proprio vita viene prima di qualsiasi vittoria...
Luca Gregorio