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Cavendish e il Tour che va alla guerra
Alla partenza erano tuttì lì, uno vicino all'altro, come fosse il backstage di una sfilata di alta moda, quale di fatto è il Tour de France. Circondati dalle macchie colorate dei loro squadroni, i magnifici cinque si guardavano attorno circospetti, non tanto per scorgere le sensazioni degli avversari (per quelle c'è tutto il tempo sui pedali) quanto per carpire il sentimento stesso della corsa, che di lì a poco sarebbe diventato esclusivamente tensione.
C'era Chris Froome il tranquillo, già due volte vincitore del Tour, neo-papà, affiancato da una Sky che spinge un po' più in là il concetto di corazzata, per il quale questo Tour è soltanto un altra preda da sbranare, una come le altre. C'era Nairo Quintana il misterioso, l'uomo delle Ande che vuole invertire il corso geografico dei conquistatori, affiancato da un Sancho Panza unico al mondo come Alejandro Valverde. C'era Thibaut Pinot il timido, costretto ad affrontare la fatidica domanda ad ogni passo o pedalata compiuta sul suolo francese "Quando vinci il Tour de France?", uno che aspetta con fervore gli sconfinamenti ad Andorra e in Svizzera per tirare il fiato. C'era Fabio Aru l'esploratore, al suo primo Tour e subito capitano, forte di un pedigree di razza sin dagli esordi tra i dilettanti, ma costretto a sopportare l'ingombrante vicinato di un Vincenzo Nibali che non lo dice a nessuno ma è qui per riprendersi la maglia gialla ed entrare nella storia, gambe permettendo. E poi c'era Alberto Contador il nobile, una specie di imperatore dei grandi giri di questo millennio, ma incapace di sedersi sugli allori per quell'attaccamento tenace all'idea, bella e impossibile, di prolungare ancora un po' un regno di cui si intravede già il termine.
Una guerra in piena regola, come illustrava senza ricorrere a fronzoli la presentazione dell'antivigilia, la più pacchiana di sempre, che riportava il paesaggio dello sbarco in Normandia a un'estetica da b-movie così distante dall'altezzosità stessa della corsa più importante del mondo. Una guerra scoppiata al chilometro zero, inevitabilmente, con la fuga partita mentre la bandierina di Christian Proudhomme non aveva ancora finito di abbassarsi: Leigh Howard è il primo lanciarsi in scia all'ammiraglia, i due Bora-Argon 18 Jan Barta e Paul Voss lo seguono con una prontezza che sembra preparata a tavolino. Per il tedesco c'è l'obiettivo (raggiunto) della prima maglia a pois di questo Tour, per gli altri due la prima indigestione di vento, proprio in riva all'Atlantico dove Eolo spinge a pieni polmoni. Una fuga che più disperata non si può, benchè sia presto rinforzata dall'arrivo di Anthony Delaplace e Alex Howes, mentre in gruppo non bisogna aspettare il decimo chilometro di corsa per assistere alla prima caduta di questo Tour. Ed è un primato italiano, con Diego Rosa che bagna il suo esordio sulle strade francesi con il più classico bacio dell'asfalto, che gli sia benaugurante.
Una caduta ben più incisiva sulla storia della corsa rischia di essere quella che accade un centinaio di chilometri più avanti, quando Alberto Contador entra lunghissimo in una curva e finisce per schiantarsi su uno spartitraffico. Maglia strappata, e pure la pelle della spalla destra sembra non cavarsela molto meglio. Il Tour del vecchio re rischia di essere già finito, ancora una volta sul nascere. La fuga intanto è destinata ad esaurirsi, e questo accade a cinque chilometri dall'arrivo. Gli eserciti avevano da tempo cambiato schieramenti, sfilatesi le armate dei "magnifici cinque" per lasciare spazio alle truppe dei velocisti, plotoni belgi armati di cannoni tedesci: gli Etixx per Kittel, i Lotto per Greipel, gli altri per sperare. Finisce con un'esplosione, come tutte le battaglie. E con una pagina da libro di storia, come spesso capita con guerre così importanti. Ad alzare le braccia, dopo aver svicolato pure la caduta dell'ultimo chilometro, è Mark Cavendish, inglese di squadra sudafricana. Banalmente si potrebbe definirlo come il più grande velocista degli ultimi 20 anni, ma che fino ad oggi ancora non aveva conosciuto la maglia gialla. Ora sì, al termine di una battaglia campale che non poteva che premiare uno che si fa accomunare ad una palla di cannone.
Ordine d'arrivo:
1 Mark Cavendish 04h14'05"
2 Marcel Kittel ST
3 Peter Sagan
4 André Greipel
5 Edward Theuns
6 Christophe Laporte
7 Bryan Coquard
8 Alexander Kristoff
9 Daniel Mclay
10 Greg Henderson a 03"
Classifica generale:
1 Mark Cavendish 04h14'05"
2 Marcel Kittel a 04"
3 Peter Sagan a 06"
4 André Greipel a 10"
5 Edward Theuns ST
6 Christophe Laporte
7 Bryan Coquard
8 Alexander Kristoff
9 Daniel Mclay
10 Greg Henderson
Filippo Cauz
(foto di Beardy Mcbeard dalla pagina Facebook del Tour de France)
C'era Chris Froome il tranquillo, già due volte vincitore del Tour, neo-papà, affiancato da una Sky che spinge un po' più in là il concetto di corazzata, per il quale questo Tour è soltanto un altra preda da sbranare, una come le altre. C'era Nairo Quintana il misterioso, l'uomo delle Ande che vuole invertire il corso geografico dei conquistatori, affiancato da un Sancho Panza unico al mondo come Alejandro Valverde. C'era Thibaut Pinot il timido, costretto ad affrontare la fatidica domanda ad ogni passo o pedalata compiuta sul suolo francese "Quando vinci il Tour de France?", uno che aspetta con fervore gli sconfinamenti ad Andorra e in Svizzera per tirare il fiato. C'era Fabio Aru l'esploratore, al suo primo Tour e subito capitano, forte di un pedigree di razza sin dagli esordi tra i dilettanti, ma costretto a sopportare l'ingombrante vicinato di un Vincenzo Nibali che non lo dice a nessuno ma è qui per riprendersi la maglia gialla ed entrare nella storia, gambe permettendo. E poi c'era Alberto Contador il nobile, una specie di imperatore dei grandi giri di questo millennio, ma incapace di sedersi sugli allori per quell'attaccamento tenace all'idea, bella e impossibile, di prolungare ancora un po' un regno di cui si intravede già il termine.
Una guerra in piena regola, come illustrava senza ricorrere a fronzoli la presentazione dell'antivigilia, la più pacchiana di sempre, che riportava il paesaggio dello sbarco in Normandia a un'estetica da b-movie così distante dall'altezzosità stessa della corsa più importante del mondo. Una guerra scoppiata al chilometro zero, inevitabilmente, con la fuga partita mentre la bandierina di Christian Proudhomme non aveva ancora finito di abbassarsi: Leigh Howard è il primo lanciarsi in scia all'ammiraglia, i due Bora-Argon 18 Jan Barta e Paul Voss lo seguono con una prontezza che sembra preparata a tavolino. Per il tedesco c'è l'obiettivo (raggiunto) della prima maglia a pois di questo Tour, per gli altri due la prima indigestione di vento, proprio in riva all'Atlantico dove Eolo spinge a pieni polmoni. Una fuga che più disperata non si può, benchè sia presto rinforzata dall'arrivo di Anthony Delaplace e Alex Howes, mentre in gruppo non bisogna aspettare il decimo chilometro di corsa per assistere alla prima caduta di questo Tour. Ed è un primato italiano, con Diego Rosa che bagna il suo esordio sulle strade francesi con il più classico bacio dell'asfalto, che gli sia benaugurante.
Una caduta ben più incisiva sulla storia della corsa rischia di essere quella che accade un centinaio di chilometri più avanti, quando Alberto Contador entra lunghissimo in una curva e finisce per schiantarsi su uno spartitraffico. Maglia strappata, e pure la pelle della spalla destra sembra non cavarsela molto meglio. Il Tour del vecchio re rischia di essere già finito, ancora una volta sul nascere. La fuga intanto è destinata ad esaurirsi, e questo accade a cinque chilometri dall'arrivo. Gli eserciti avevano da tempo cambiato schieramenti, sfilatesi le armate dei "magnifici cinque" per lasciare spazio alle truppe dei velocisti, plotoni belgi armati di cannoni tedesci: gli Etixx per Kittel, i Lotto per Greipel, gli altri per sperare. Finisce con un'esplosione, come tutte le battaglie. E con una pagina da libro di storia, come spesso capita con guerre così importanti. Ad alzare le braccia, dopo aver svicolato pure la caduta dell'ultimo chilometro, è Mark Cavendish, inglese di squadra sudafricana. Banalmente si potrebbe definirlo come il più grande velocista degli ultimi 20 anni, ma che fino ad oggi ancora non aveva conosciuto la maglia gialla. Ora sì, al termine di una battaglia campale che non poteva che premiare uno che si fa accomunare ad una palla di cannone.
Ordine d'arrivo:
1 Mark Cavendish 04h14'05"
2 Marcel Kittel ST
3 Peter Sagan
4 André Greipel
5 Edward Theuns
6 Christophe Laporte
7 Bryan Coquard
8 Alexander Kristoff
9 Daniel Mclay
10 Greg Henderson a 03"
Classifica generale:
1 Mark Cavendish 04h14'05"
2 Marcel Kittel a 04"
3 Peter Sagan a 06"
4 André Greipel a 10"
5 Edward Theuns ST
6 Christophe Laporte
7 Bryan Coquard
8 Alexander Kristoff
9 Daniel Mclay
10 Greg Henderson
Filippo Cauz
(foto di Beardy Mcbeard dalla pagina Facebook del Tour de France)