Gli Azzurri di Jesi raccontano Roberto Mancini ciclista
A fare fatica Roberto Mancini, il ct della Nazionale, è sempre stato abituato. In campo e in panchina. Ma quando si pensa al Mancio viene in mente la sua carriera, i suoi gol, i successi da giocatore e da allenatore, il ciuffo la classe del numero 10 che aspetta il pallone e fa correre gli altri. Mancini però ha anche una grande passione per la bicicletta, testimoniata dai numerosi incontri a cui non rinuncia – non ultimo quello in occasione della recente serata per ricordare Michele Scarponi – e ben spiegata da un recente servizio di Sky Sport che ha incontrato il gruppo con cui il tecnico della Nazionale si diverte sui pedali. Sono gli amici di sempre, che sfoggiano una bellissima divisa Azzurri di Jesi.
“Ce l’ha regalata lui”, dicono fieramente, “un giorno ci ha chiamato, ci ha radunato e dal baule dell’auto ha tirato fuori questi completi. Secondo me le ha disegnate lui, dicono che lo faceva anche con quelle della Samp”, aggiunge ridendo un amico.
Attenzione, quelli di Jesi sono amici storici, di quelli che conoscono l’altro lato della medaglia, di quelli con cui non si può aprire il libro alla pagina che si vuole perché, il libro, lo conoscono tutto. “Roberto è una persona magnifica, umile e sempre disponibile. Era così fin da bambino e lo è rimasto anche oggi, abbiamo solo pensieri belli”, aggiunge Massimo Tramontana.
Sì ok, ma da ciclista com’è? E qui viene fuori finalmente il Mancini numero 10, quello che in campo prima o in panchina poi – come successo contro il Galles – ti stoppa di tacco uno spiovente, in cravatta ma senza giacca, con le scarpe in pelle ma senza tacchetti.
“E’ un bel ciclista, davvero. Ed è migliorato negli ultimi anni, oggi tiene anche 60 o 70 chilometri”. Però? “Però la sua uscita preferita rimane Senigallia perché tutta pianeggiante”. E giù a ridere. “Mentre al giro della domenica, quando si va in salita, non gli piace molto”. Gli amici ridono ancora.
“La passione per la bicicletta o ce l’hai o non ce l’hai”, spiegò un giorno, sempre alla Fondazione Michele Scarponi in un incontro col ct Cassani nel 2019, “e io ce l’ho perché me l’attaccò mio padre, da piccolo”. Lo ha riportato Marco Pastonesi su Tuttobiciweb.it.
“Il ciclismo è fatica, sofferenza, tenacia. Ammiro tutti i ciclisti. Io vado piano, ma vado ovunque. Mi piace stare in scia, di solito i miei amici più robusti stanno davanti così sfrutto la loro stazza”.
A proposito di stazza, tra quelli della sua compagnia Azzurri di Jesi ce ne sono un paio ben messi. Il ciclismo è anche alimentazione. “Ahhh, noi quando ci sono dei chilometri da fare ci fermiamo per la colazione e mangiamo il bombolone, lui sempre e solo succo di frutta”.
E via, oggi si esce senza di lui, d’altronde è a Coverciano con vista Wembley. “Ci dobbiamo allenare, quando tornerà col titolo Europeo in mano andrà ancora più forte”. E dove si andrà? “E’ una promessa che ci siamo fatti prima del ritiro, ma non si può dire, è un segreto”.
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