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Roberto Mancini, Azzurro di Jesi

Articolo pubblicato su BIKE Volume 6 edizione Autumn ottobre-dicembre 2021

“Sono un ciclista completo”, dice. “Perchè vado piano in salita, in pianura e anche in discesa”. Ma Roberto Mancini, (quasi) 57enne cicloamatore jesino, non la racconta giusta. Perché più passa il tempo – soprattutto più riesce a liberarsi dagli impegni che tutti conosciamo – e più mette in difficoltà i suoi compagni d’avventura in bicicletta. Può essere che sia un “succhiaruote”, come ama definirsi (attività peraltro agevolata dall’invitante stazza dei suoi abituali apripista, in particolar modo uno), però ha ancora un fisico invidiabilissimo. Il fisico (e la testa), d’altra parte, sono quelli del Commissario tecnico che ha riportato in Italia il titolo europeo di calcio, facendo impazzire tutto il Paese.

Fu Davide Cassani, al tempo ancora Ct della Nazionale di ciclismo (e dunque suo collega a tutti gli effetti), a suggerirgli di andare in bici il più spesso possibile. “Pedalare fa bene: dà aria al cervello, fa venire le idee migliori”. Probabilmente il Mancio, già appassionatissimo di questo sport, non aspettava altro. Chissà se le intuizioni per allestire la Nazionale e per vincere il titolo europeo gli sono venute pedalando nella sua amata Vallesina oppure andando verso Senigallia per sentire il profumo del suo mare o ancora puntando diritto su Serra San Quirico per assaporarne la dolcissima pendenza al di fuori di ogni rischio di traffico sgarbato.

“Mio padre Aldo – dice – era appassionato tanto di ciclismo quanto di calcio. Amava alla follia Fausto Coppi, che cercava di seguire in tutte le gare a portata di mano. Ha anche corso a discreti livelli: fino alla categoria dei dilettanti. Probabilmente mi avrebbe anche lasciato scegliere. Ma aveva capito benissimo che il mio sogno vero era quello di diventare calciatore. E soprattutto si rese presto conto – prosegue Mancini – di quanti danni avrei potuto fare con la mia esuberanza, come quel giorno in cui mi vide infilarmi, con una bici praticamente senza freni, dentro la vetrina di un sarto, facendo danni inenarrabili: sia a me che al povero sarto. Ho fatto in tempo a tifare per molti campioni, questo sì: prima Gimondi, poi Moser, poi Pantani, l’ultimo per cui abbia veramente trepidato”. Fra i contemporanei ha amato molto Nibali, con il quale a primavera ha partecipato a una divertente call di “solo ciclismo”.

E così, ora, Roberto si ‘accontenta’ di inforcare la bici (questa volta con ottimi freni Shimano montati sulla fida De Rosa Protos di colore azzurro: con qualche piccolo ‘tradimento’ per una nuovissima Trek) e regalarsi due o tre ore di libertà, e quasi sempre di allegria, tutte le volte che torna a casa. Rigorosamente in compagnia degli amici degli Azzurri di Jesi. Che prima degli Europei lo avevano convinto, in caso di vittoria, a percorrere i classici 800 kilometri che portano a Santiago de Compostela. Per ora il Ct ha preso tempo (anche perché ha in ballo un ‘voto’ di genere completamente diverso partendo da Bologna). Ma conoscendo la sua tigna agonistica non è detto che non ci si butti a capofitto. Anzi, pensiamo di poter anticipare che, il prossimo maggio, prima di tuffarsi nella volata di preparazione dei Mondiali in Qatar, ne faccia un fondamentale passaggio di riflessione. D’altra parte non è la prima volta che ringrazia il cielo pedalando. Accadde già una dozzina d’anni fa quando, dopo la conquista del titolo con l’Inter, scalò la Cisa e raggiunse il Santuario della Madonna della Guardia.

Mancini ha molto a cuore il problema della sicurezza. Purtroppo ‘consolidato’ dalla morte di un amico a cui ha voluto un sacco di bene e che era suo abituale compagno di viaggio nelle colline marchigiane: Michele Scarponi. Quando può aderisce a tutte le iniziative promosse dalla Fondazione animata con tanta passione da Marco, il coraggioso e tenace fratello di Michele. “È inconcepibile che da noi si muoia ancora sulla strada; e per giunta in quel modo. Vale per Michele, ma ovviamente vale per tutti, a cominciare dai più giovani. Qui da noi mancano spesso cultura e rispetto. Quando allenavo il Manchester City andavo in bici all’allenamento: non è mai successo che un’auto mi abbia sfiorato provocatoriamente o comunque frettolosamente e pericolosamente in un sorpasso. Pensate che, in Inghilterra, la polizia invita i ciclisti ad andare appaiati, per scoraggiare manovre improprie da parte di chi li segue. Si sorpassa solo quando si può, come se davanti si avesse un camion, o un trattore, o comunque un mezzo lento e ingombrante. Non si mette mai a repentaglio la vita di nessuno”.

C’è da dire che Roberto, su strada, è molto rispettoso e prudente. Anzi rimprovera i compagni che non danno un buon esempio. Comunque i suoi ‘pretoriani’ storici (Eddy, Gino, Marino, Marcello, Diego) gli fanno buona guardia. Anche perché, questo Ct, abbiamo tanti, tanti buoni motivi per tenercelo caro!

Nella foto in apertura Roberto Mancini, ct della Nazionale, festeggia il titolo europeo reggendo il trofeo (GettyImages)

Mancini Scarponi
Roberto Mancini con Marco Scarponi, fratello di Michele e presidente della Fondazione a lui dedicata