Carlo Carlà, artista dei telai
La storia del ciclismo italiano è sterminata. Lunga come i chilometri percorsi dalla fine dell'800 a oggi. È fatta di storie, innumerevoli storie e come sempre accade le storie sono fatte di uomini. Nel ciclismo di atleti, impresari e artigiani. E inventori, personaggi che hanno messo a disposizione della tecnologia il proprio genio.
Questa è in sintesi l'Italia delle due ruote a pedali. Questa è la storia di un piccolo grande uomo del profondo Sud: Carlo Carlà. Il suo nome è sempre girato nel circuito amatoriale e professionistico, ancora di più in quello dei collezionisti. Già perché le biciclette sono mezzi realizzate ad Arte. Sono pezzi d'Arte. La materializzazione dell'Homo Faber. Basti pensare che per una sola consonante lo separa da uno dei più grandi geni dell'arte moderna italiana: Carlo Carrà. Forse un tributo del padre Gialma, nome più unico che raro, che nel lontano 1930 a Monteroni di Lecce, piccola frazione alle porte del capoluogo salentino, decide di dare al figlio maschio. Carlo Carlà da Monteroni non si è mai spostato. A 95 anni è ancora lì tutti i giorni puntuale nella sua incredibile bottega: metafisica, magica. Come la pittura di Carlo Carrà.
La storia comincia come in tante famiglie italiane che ruotano attorno al mondo della meccanica. Quel mondo fatto di pionieri e sperimentazioni. Quella triade decenni, dal'900 al 1930, in cui è stato sperimentato di tutto e tutti potevano farlo. Accadeva così nel settore delle auto, delle moto e delle bici. Ricordiamo che le biciclette sono nate prima delle moto. Serviva tanta manutenzione perché questi mezzi erano giurassici e fragili. Le strade non esistevano: ci si muoveva in carrozza, pochissimi potevano permettersi una bicicletta, ancor meno un mezzo a motore. Gialma il padre di Carlo decide di aprire una bottega per le riparazioni leggere: piccola manutenzione, riparazioni di camere d'aria, tubolari e copertoni a tallone. Si bucava anche più volte al giorno. Carlo è qui che cresce. Monteroni a cavallo del secondo conflitto è un paese di 8.000 anime, la metà di oggi e si trovava e si trova in un punto nevralgico quello della "frontiera". Immaginate quegli anni quando, uscendo da un centro abitato come Lecce, ci si dirigeva verso il tacco d'Italia. Verso Leuca, bisognava passare da Monteroni e con molta probabilità era l'ultima possibilità di farsi controllare il mezzo. Altri tempi.
Lasciata la scuola e con una forte passione per la meccanica, Carlo Carlà entra nella bottega del padre che nel frattempo aveva intrapreso l'attività di telaista terzista. Pochissime fino a quel momento erano le aziende del Sud Italia produttrici di mezzi propri: in Puglia c'erano Forcignanò di Lecce e Marangiolo di Taranto, che addirittura aveva iniziato la sua attività già dal 1927. A 16 anni Carlo realizza il suo primo telaio. Era il 1946. La guerra era appena finita ed era appena nata la Vespa della Piaggio. L'Italia era devastata e oltre al cibo mancava il metallo. Carlà ricorda: "Mio padre era su tutte le furie. Avevo usato dei tubi nuovi. Quegli otto tubi preziosi come l'oro, nella rabbia iraconda, gli fecero capire che io ero pronto. Così iniziammo a lavorare per la Furcignanò di Lecce".
Negli anni '50, gli anni del boom economico, l'azienda leccese produce migliaia di telai l'anno: "Ci davano come terzisti la produzione minore: due telai al giorno su una produzione di 10. Non era poco". Gialma invecchiava e il suo Carlo diventava sempre più bravo e forte: "Avevo le mani piccole e molto forti", ricorda Carlà. Strumenti necessari per un telaista. Gialma faceva da supervisore, Carlo tagliava e saldava. Sui telai comincia a comparire il nome di Carlà. Alcune volte Gialma. Gli anni sessanta segnano la crisi della bicicletta. Lo sport non traina più non basta più. Una Vespa 50 si porta a 14 anni e costa appena il doppio di una bici da corsa e quasi come una bicicletta artigianale.
La nuova svolta come spesso accade è di tipo mediatica e Monteroni diventa il centro nel mondo a metà degli anni '70, quando si decide che il Mondiali di ciclismo su strada si terranno ad Ostuni, mentre quelli su Pista, proprio a Monteroni, nel nuovissimo (all'epoca, oggi completamente abbandonato) Velodromo degli Ulivi. Sono gli anni di Moser. Era dai tempi di Coppi e Bartali che il ciclismo non era così seguito. Per la famiglia Carrà fu un'occasione d'oro. "Tra tutte le sperimentazioni, quelle che maggiormente ricordo sono le prima congiunzioni dei telai rinforzate, decorate, e con il logo Carlà. E poi le teste piatte per le forcelle a triplo strato, cromate e con gli steli a curvatura leggera e dritti per la pista". Quelle congiunzioni e quelle pantografie sui telai le ritroviamo su modelli come l'Arabesque di Colnago.
"Il momento più bello - ricorda il telaista leccese - è quando Tullio Campagnolo mi contattò per seguire il progetto di un telaio aerodinamico per il suo pupillo, il ciclista italo-argentino Octavio Dazzan. Campagnolo mi consegnò una cassetta degli attrezzi omonima che ancora oggi conservo gelosamente. Completa di tutto. Dopo infiniti studi realizzai questa bicicletta, un telaio per la pista e uno a cronometro, che una decina di anni fa ho ritrovato in Svizzera. Presenta numerose soluzioni inedite fino a quel momento. Il carro posteriore era asimmetrico, gli steli obliqui del carro posteriore avevano una diversa inclinazione per compensare la rigidità dal lato libero con quello della trasmissione, avevo sperimentato dei fazzoletti aerodinamici sulle congiunzioni dei tubi ben rastremati e poi la vedi tutta cromata spazzolando a mano i telaio e contenendo così il peso. Più per vezzo che per reale utilità. Poi misi la ruota posteriore quasi a contatto con il tubo obliquo ma cambiando rapporto la ruota urtava. Quindi decisi prima di creare solco a pressione per il tubo della sella e poi decisi addirittura di sdoppiarlo prima dell'attacco alla mozzo della guarnitura". Quella dei "fazzoletti" è una soluzione poi ripresa sapientemente da Cinelli per le sue Laser e da Rossin per le CX TT e per la CX4. Sembra incredibile ma è così.
Oggi Carlo e la sua bottega sono meta di appassionati e collezionisti: produce pochi telai l'anno e non ha trovato eredi a cui lasciare il suo lavoro: "Molti ragazzi sono passati da qui. Ho fatto molti laboratori, molto entusiasmo, ma nessuno ha proseguito per la sua strada". Intanto ogni giorno la claire di via San Filio si alza e così si scrive un altro piccolo pezzetto di storia del ciclismo italiano, scandito dal lento incedere del tempo e dell'orologio meccanico di Carlo, interamente realizzato con pezzi meccanici. Lunga vita a Carlo Carlà e ai suoi visionari sogni.