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Bici, l’Italia la usa poco ma ci muore molto
Il barometro della Federazione Ciclisti europea (ECF) ci punisce quest’anno declassandoci di due posizioni rispetto al 2013. Non che allora andassimo bene, ma dal 15esimo posto siamo passati al 17esimo, scalzati da una nuova arrivata, la Croazia, e dai progressi della Lituania, che dal 20esimo posto è passata al 15esimo. Anche Slovenia, Lussemburgo e Spagna sono molto migliorate negli ultimi due anni.
Cosa valuta questa classifica? Andare a spulciare i dati ci dice molto della nostra situazione, a confronto con quella degli altri Paesi, e ci dà un quadro preciso che spiega la classifica. Prima di tutto si è valutato il numero di ciclisti, considerato in base a un rilevamento dettagliato condotto per conto della Commissione europea, ed esposto qui.
In un giorno qualsiasi, usa l’auto una media del 54% di europei, usa i mezzi pubblici una media del 19% di europei, mentre il 14% va a piedi e l’8 in bici. Di contro, gli italiani scelgono l’auto nel 63% dei casi, i mezzi pubblici nell’8% dei casi, va piedi nel 13% e in bici nel 6%.
Siamo noi, insomma, quelli che abbassano la media europea per quanto riguarda la bici (insieme ad esempio ai britannici, 3%; e ai portoghesi, 1%); mentre la alzano i soliti Paesi Bassi (36%) Danimarca (23%) e Svezia (17%). Ma noi siamo i soli ad andare poco sia in bici, che a piedi che con i mezzi, preferendo sempre e comunque l’auto.
Poi si è tenuto conto della sicurezza, valutando i dati stilati dalla Ue sulle morti che coinvolgono i ciclisti. In Italia sono 249 in un anno. Nei Paesi Bassi sono 112, giusto per farsi un’idea, nonostante l’enorme maggior numero di ciclisti. Peggio di noi solo la Germania (12% di persone che usano la bici in un giorno qualsiasi contro il nostro 6%, e 354 morti) e la Polonia (7% di ciclisti, 304 morti). Il dato è sconcertante: praticamente non usiamo la bici, ma – in rapporto – ci perdiamo la vita più di chiunque altro. E’ del resto nota la situazione delle nostre – poche e malandate – piste ciclabili, che le auto utilizzano come parcheggi di comodo.
Poi si è tenuto conto di come stanno messi i singoli Paesi in merito al ciclo turismo, ma qui ci basti sapere che, mentre nel resto d’Europa le bici sono ammesse anche nei treni ad alta velocità e in certi casi gratuitamente, da noi si può salire in bici solo su alcuni regionali, costa caro e non si può prenotare. In sintesi, non si può andare in treno con una bici. Che sarebbe un po’ il senso del ciclo turismo.
Ancora, l’ampia analisi ha tenuto conto del mercato delle bici nei singoli Paesi, stando ai dati della Confederazione europea dell’industria delle bici, secondo la quale in Italia (60 mln di abitanti) si sono comprate 1.594 bici nel 2013. Per capire, nei Paesi bassi (16,8 mln di abitanti) se ne sono vendute 3.347, e in Germania (80,6) 3.800.
Infine, l’ultimo criterio considerato è il numero e la forza delle organizzazioni di ciclisti. Infatti, specifica la Federazione, è importantissimo il ruolo politico di gruppi di pressione a favore della ciclabilità. Per l’Italia c’è però solo la Fiab e, per fare un confronto con un Paese europeo non particolarmente famoso per l’amore per le due ruote, prendiamo ancora la Germania. Ha due organizzazioni di ciclisti al suo attivo, per un totale di quasi 200mila membri, contro i 12mila della Fiab. Prendiamo però anche un Paese con un numero di abitanti più simile al nostro: la Gran Bretagna. Come visto ha un numero di ciclisti che è meno della metà del nostro, più o meno lo stesso numero di abitanti, e condizioni climatiche certo molto più svantaggiose delle nostre. Tuttavia il Regno Unito ha ben tre potenti organizzazioni di ciclisti che contano 130mila membri. E questo nonostante l’interesse per la politica contraddistingua in generale molto di più noi che i britannici.
Ecco, alla fine di questa analisi credo di poter tranquillamente dire che a dispetto dei ridicoli miglioramenti che il nostro Paese porta avanti, e facendone gran vanto, per quanto riguarda la mobilità sostenibile e in particolare l’uso della bicicletta, siamo non tanto messi male per numero di ciclisti, quanto rispetto alla politica che ci gira intorno. Politica che – come sempre accade per la politica – dovrebbe nascere dal basso. Ecco, in definitiva, l’Italia delle due ruote fa schifo: sarà mica colpa nostra?
Michela Dell’Amico
Cosa valuta questa classifica? Andare a spulciare i dati ci dice molto della nostra situazione, a confronto con quella degli altri Paesi, e ci dà un quadro preciso che spiega la classifica. Prima di tutto si è valutato il numero di ciclisti, considerato in base a un rilevamento dettagliato condotto per conto della Commissione europea, ed esposto qui.
In un giorno qualsiasi, usa l’auto una media del 54% di europei, usa i mezzi pubblici una media del 19% di europei, mentre il 14% va a piedi e l’8 in bici. Di contro, gli italiani scelgono l’auto nel 63% dei casi, i mezzi pubblici nell’8% dei casi, va piedi nel 13% e in bici nel 6%.
Siamo noi, insomma, quelli che abbassano la media europea per quanto riguarda la bici (insieme ad esempio ai britannici, 3%; e ai portoghesi, 1%); mentre la alzano i soliti Paesi Bassi (36%) Danimarca (23%) e Svezia (17%). Ma noi siamo i soli ad andare poco sia in bici, che a piedi che con i mezzi, preferendo sempre e comunque l’auto.
Poi si è tenuto conto della sicurezza, valutando i dati stilati dalla Ue sulle morti che coinvolgono i ciclisti. In Italia sono 249 in un anno. Nei Paesi Bassi sono 112, giusto per farsi un’idea, nonostante l’enorme maggior numero di ciclisti. Peggio di noi solo la Germania (12% di persone che usano la bici in un giorno qualsiasi contro il nostro 6%, e 354 morti) e la Polonia (7% di ciclisti, 304 morti). Il dato è sconcertante: praticamente non usiamo la bici, ma – in rapporto – ci perdiamo la vita più di chiunque altro. E’ del resto nota la situazione delle nostre – poche e malandate – piste ciclabili, che le auto utilizzano come parcheggi di comodo.
Poi si è tenuto conto di come stanno messi i singoli Paesi in merito al ciclo turismo, ma qui ci basti sapere che, mentre nel resto d’Europa le bici sono ammesse anche nei treni ad alta velocità e in certi casi gratuitamente, da noi si può salire in bici solo su alcuni regionali, costa caro e non si può prenotare. In sintesi, non si può andare in treno con una bici. Che sarebbe un po’ il senso del ciclo turismo.
Ancora, l’ampia analisi ha tenuto conto del mercato delle bici nei singoli Paesi, stando ai dati della Confederazione europea dell’industria delle bici, secondo la quale in Italia (60 mln di abitanti) si sono comprate 1.594 bici nel 2013. Per capire, nei Paesi bassi (16,8 mln di abitanti) se ne sono vendute 3.347, e in Germania (80,6) 3.800.
Infine, l’ultimo criterio considerato è il numero e la forza delle organizzazioni di ciclisti. Infatti, specifica la Federazione, è importantissimo il ruolo politico di gruppi di pressione a favore della ciclabilità. Per l’Italia c’è però solo la Fiab e, per fare un confronto con un Paese europeo non particolarmente famoso per l’amore per le due ruote, prendiamo ancora la Germania. Ha due organizzazioni di ciclisti al suo attivo, per un totale di quasi 200mila membri, contro i 12mila della Fiab. Prendiamo però anche un Paese con un numero di abitanti più simile al nostro: la Gran Bretagna. Come visto ha un numero di ciclisti che è meno della metà del nostro, più o meno lo stesso numero di abitanti, e condizioni climatiche certo molto più svantaggiose delle nostre. Tuttavia il Regno Unito ha ben tre potenti organizzazioni di ciclisti che contano 130mila membri. E questo nonostante l’interesse per la politica contraddistingua in generale molto di più noi che i britannici.
Ecco, alla fine di questa analisi credo di poter tranquillamente dire che a dispetto dei ridicoli miglioramenti che il nostro Paese porta avanti, e facendone gran vanto, per quanto riguarda la mobilità sostenibile e in particolare l’uso della bicicletta, siamo non tanto messi male per numero di ciclisti, quanto rispetto alla politica che ci gira intorno. Politica che – come sempre accade per la politica – dovrebbe nascere dal basso. Ecco, in definitiva, l’Italia delle due ruote fa schifo: sarà mica colpa nostra?