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Redazione

Bici da leggere. Indro al Giro

L'inverno è una stagione con poche corse e con poche pedalate, ma resta sempre un periodo per dedicarsi al grande ciclismo, ad esempio leggendo. Nelle settimane che ci conducono al prossimo Natale, vogliamo consigliarvi dei libri sul ciclismo usciti negli ultimi mesi. Da leggere, rileggere e soprattutto regalare. Oggi seguiamo un decano del giornalismo italiano, Indro Montanelli, al Giro d'Italia.

Indro Montanelli. Indro al Giro - viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali.

La storia del Giro d'Italia è ricca di grandi cantori, penne raffinate della stampa italiana e non solo che si sono imbarcate al seguito di questo magnifico viaggio per raccontarne le vicende attraverso quel modo unico, proprio solo del ciclismo, di attraversare la società nel vivo. Erano le penne buone, quelle destinate al colore che talvolta affiancavano i cronisti veri e propri e altre volte li sostituivano, a seconda delle epoche e delle testate.

Tanti di questi giornalisti e scrittori di ciclismo ne sapevano poco, ma erano in grado di sopperire alle mancanze grazie allo spirito di osservazione e alla qualità del racconto. Molti nell'atmosfera del Giro si calarono soltanto una volta, due al massimo, prima di ritornare a compiti più tradizionali, forse con rammarico. Tra questi ci fu anche chi al Giro ci finì per ragioni prettamente politiche, è il caso di Indro Montanelli.

Rientrato in Italia con la Liberazione dal fascismo, Montanelli fu accolto con imbarazzo alla redazione del Corriere. La sua posizione ondivaga rispetto al regime, prima appoggiato poi criticato e infine condannato dall'esilio in Svizzera, e la sua convinta fede in una monarchia appena sconfitta al referendum, lo rendevano un soggetto da guardare con estremo sospetto, in un Paese che stava faticosamente emergendo dalla guerra e dalla dittatura. La soluzione individuata fu quella più semplice: Montanelli può scrivere, ma non di politica. Così il Corriere lo inviò al Giro d'Italia, offrendo al giornalista toscano l'occasione di descrivere il Paese dal livello zero delle due strade, il cui risultato finirà per essere più politico che mai.

E' un ciclismo popolare quello descritto da Montanelli al Giro, in cui le imprese si mischiano con le credenze religiose, con i funerali sulle strade e i polli arrostiti allo spiedo dai tifosi. Un ciclismo che Montanelli aveva già conosciuto nell'infanzia ammirando le imprese di Girardengo sulle colline toscane, ma che da inviato riscopre con un nuovo sguardo, e impara ad apprezzare a far amare. Nei suoi articoli si racconta di come la fuga sia "un grande urlo e un gesto disperato che mettono d’improvviso in confusione tutta la carovana del Giro", di corridori fischiati e criticati dal pubblico, allora come oggi, per l'arenamento tattico che priva la corsa di emozioni, di come la festa itinerante del Giro riesca a trasformare ogni giorno in domeniche che "odorano di vino, di brillantina e di peccato... il cui potere di corruzione è irresistibile".

E proprio dal racconto di un ciclismo di 70 anni fa ci si accorge di come i vizi e le virtù dei corridori non siano cambiati poi così tanto, come forse nemmeno quelli della società che attraversano. Il Giro non si potrà più definire degasperiano, la gara socialdemocratica e i corridori democristiani, ma anche modificando termini e nomi dei protagonisti resta la stessa passione ad accompagnarli, seppur diversa nei numeri, trasformando strade, paesi e persone. Una trasformazione che rende ancora più necessario il ritorno di nuovi cantori, che sappiano mettersi in scia a chi questa storia ha saputo già raccontarla in maniera impeccabile, come Indro, al Giro.

"La partenza del Giro da Milano segna l'inizio in tutta Italia di un triduo di sciagure per investimenti da bicicletta che cesserà solo col rientro della carovana alla base di partenza. L'Italia è piena di Filippo Scaramuzzi: i quali, onesti e sedentari garzoni di bottega o impiegatini d'ordine al catasto per trecentotrentacinque giorni dell'anno, si svegliano una bella mattina «pulci del Gargano», «giaguari del pedale», «gazzelle dell'asfalto», «solitari della montagna», «locomotive umane», «canguri del parco» e per quattro settimane, dimenando freneticamente le pallide pelose nude gambe sui pedali, seminano il terrore per tutte le strade della Penisola...
La bicicletta è l'ultimo strumento salgariano che oramai resti a una gioventù che la tecnica e il progresso hanno orbato di ogni eroica evasione. Essa crea un clima di avventure che l'aeroplano e l'automobile non sanno dare. Il pedale è il Pegaso dei paesi artigiani: esso compendia in sé «La Scotennatrice», Giulio Verne, «Il giro del mondo in ottanta giorni», «Robinson Crosuè», tutta la letteratura avventista del passato, De Amicis, l’ottimismo del progresso, il dopolavoro. Né le Mille
Miglia né la coppa Schneider sapranno mai dare tutto questo. Esse sanno di nord, di collettivo, di organizzato, di Martin Lutero. L'automobile e l'aeroplano hanno avuto per poeta Marinetti. La bicicletta ha avuto per poeta Giovanni Pascoli. C'è una bella differenza. Dall'automobile sono nati i carri armati e dall'aeroplano gli Stukas e i Liberatori. Dalla bicicletta non nascono che gli Scaramuzzi, le innocenti «pulci del Gargano», i miti «giaguari del pedale», le sorridenti «gazzelle dell'asfalto», le placide «locomotive umane», domestici «canguri del parco», terrore delle balie e dei cani, ma soltanto delle balie e dei cani".








Indro Montanelli
Indro al Giro - viaggio nell'Italia di Coppi e Bartali. 
Cronache del 1947 e 1948.
a cura di Andrea Schianchi
Rizzoli, 252 pagine, 12,90€












Bici da leggere:
1. Carlo Gugliotta. Pedalare nel fango.
2. Daniele Coltrinari e Luca Onesti. C’era una Volta in Portogallo.
3. Andrea Ballocchi. Andrea Noè - Una vita da gregario.
4. Bidon. Se qualcuno viene mi fa piacere.