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Redazione

Un freno ai freni a disco?

Tra le numerose vittorie che hanno caratterizzato l'ineguagliabile carriera di Tom Boonen, quella che ha aperto la sua ultima stagione rischia di avere un ruolo a suo modo storico. Il 24 gennaio, Tornado Tom ha anticipato Elia Viviani nella volata della seconda tappa della Vuelta a San Juan, diventando il primo corridore della storia a vincere con una bici dotata di freni a disco. Un record da nulla, nella storia del più grande interprete delle classiche di inizio millennio, ma che acquisisce un significato particolare in questo momento, ovvero all'apice di uno scontro che sta dividendo il mondo del ciclismo.

Quella sui freni a disco non è una classica spaccatura, mentre in genere si parla di "gruppo diviso in due", questa volta i detrattori della nuova tecnologia frenante riguardano la quasi totalità dei ciclisti professionisti, come già aveva testimoniato a fine 2016 il sondaggio interno del CPA (il sindacato dei corridori). Rispetto ad allora, se vogliamo, la situazione pare ulteriormente peggiorata. In occasione dei mondiali di Doha, infatti, l'UCI aveva deciso di tornare a sperimentare dei freni a disco in corsa a partire dalla stagione 2017. Una scelta che aveva fatto storcere il naso a molti, poichè quasi nessuna delle richieste dei corridori era stata accolta: giusto qualche leggera smussatura e una spolverata, e i dischi sono stati riammessi in gruppo come se nulla fosse. Un atteggiamento incomprensibile da parte di un ente che dovrebbe avere a cuore la sicurezza dei propri protagonisti. Di fatto, la spaccatura si trova esattamente qui: da una parte i corridori (con qualche eccezione), dall'altra l'UCI e, silenziosamente, le aziende. Perchè è evidente che i freni a disco siano un fronte di sviluppo ormai in corso dell'industria ciclistica, ed è inevitabile che le aziende produttrici ci ragionino anche e soprattutto in termini di guadagni.

Alla reintroduzione era arrivata una prima risposta due settimane fa da parte del presidente del CPA Gianni Bugno. Una lettera aperta a Mark Barfield, presidente della Commissione Materiali dell'UCI, in cui si ribadiva la contrarietà dei corridori e l'applicazione delle tre richieste già presentate: arrotondamento dei dischi, inserimento di una protezione, omogeneità delle dotazioni in gruppo. Dei tre punti l'ultimo è indubbiamente il più importante, ma anche il meno realizzabile. Un gruppo misto comporta diversità di frenata da bici a bici che possono diventare estremamente pericolose, ma comporta anche un'ulteriore differenziazione tra squadre ricche (che possono permettersi di investire di più sui materiali) e piccole squadre costrette ad arrangiarsi. E in un momento di difficoltà economiche del ciclismo, soprattutto per le formazioni minori, è evidente la criticità. Inoltre non tutte le grandi aziende hanno già sviluppato modelli con freni a disco affidabili, il che impedisce un'uniformità nel plotone, e chi ne dispone non ha ancora raggiunto una standardizzazione del formato, rendendo di fatto impossibile un'assistenza generica cambio ruote che è spesso fondamentale nelle principali gare. La risposta dell'UCI si è limitata però ad un generico commento in cui si invita i corridori a "rispettare il processo democratico", senza mai scendere nel dettaglio delle argomentazioni proposte.

Una serie di ragioni che hanno portato il CPA a farsi risentire dopo l'ennesimo incidente su cui si agita il fantasma dei freni a disco, quello che ha coinvolto l'olimpionico Owain Doull sul finire della prima tappa dell'Abu Dhabi Tour. Una scarpa e un piede tagliati in maniera vistosa e la conseguente accusa al disco rotante di Marcel Kittel, che affiancava l'inglese in corsa, per quanto nessuna ricostruzione sia riuscita a chiarire definitivamente la dinamica. Le accuse di Doull hanno comunque scosso nuovamente il gruppo, compreso lo stesso Kittel che il giorno successivo ha preferito correre con freni tradizionali, e scatenato un dibattito online tra nette prese di posizione sui social network e tentativi di studio sperimentali come quelli provati dal sito australiano velonews, che in due video ha provato a testare la capacità di taglio dei dischi.

L'opinione dei corridori è netta, persino i veterani e i più grandi campioni hanno voluto dire la loro. "Spero non sia necessario arrivare a una tragedia prima di fermarci per fare il punto della situazione", ha commentato un Chris Froome infastidito dalla scarsa considerazione riservata al parere degli atleti, condannando anche i tentennamenti del CPA stesso nello scorso autunno. Opinione condivisa anche dal suo rivale Nairo Quintana, che non vede la necessità di introdurre dei freni "più pesanti, meno aerodinamici ma soprattutto più pericolosi in gruppi di 100 e passa corridori". "La cosa triste è che pare che si stia aspettando solo un incidente grave per decidersi a cambiare", ha rilanciato Adam Hansen, uno dei ciclisti più esperti del gruppo e rappresentante dei corridori in corsa negli Emirati. Un messaggio diretto all'UCI ma pure al CPA stesso, il cui ruolo sembra diventare sempre più inefficace.

Ed è forse anche in risposta a queste frecciate che ora il CPA ha deciso di compiere l'ultimo passo possibile: una diffida legale all'UCI, che potrebbe essere accusata di mancanze in tema di sicurezza sul lavoro. L'accusa del sindacato è chiara: non si possono eseguire dei test in corsa, in dinamiche ad altissimo rischio come le cadute di gruppo, che sono peculiari del solo ciclismo su strada, specie ad alte velocità. Un intervento che non farà che inasprire lo scontro, a poco più di un mese dalla Roubaix dove si registrò lo spaventoso incidente di Fran Ventoso un anno fa, e dove terminerà la carriera di Tom Boonen, il primo vincitore "a disco" del ciclismo professionistico. Che finisca per essere anche uno degli ultimi?