In primavera sul Galibier, la 'Leggenda delle Alpi'
Articolo apparso su BIKE Volume 3, Winter, gennaio-marzo 2021
Il Col du Galibier è entrato nel mio cuore il 27 luglio del 1998 quando, in una giornata da tregenda, Marco Pantani ribaltò il Tour de France, attaccando sul Gigante delle Alpi prima di volare verso Les Duex Alpes e infliggere, a fine giornata, quasi nove minuti di distacco al tedesco Jan Ullrich, sfilandogli di dosso la maglia gialla. Maglia che il Pirata portò poi fino a Parigi, coronando quella stagione vincente con l’accoppiata Giro-Tour che, da allora, nessuno è mai più riuscito a ripetere.
Sebbene non fosse una data programmata, ho deciso anch’io di affrontare il doppio versante del Galibier in una giornata di fine luglio, il 27 per la precisione. Che fosse proprio lo stesso giorno di quella fatidica impresa me lo hanno fatto notare degli appassionati incontrati lungo l’ascesa. Una giornata ideale per temperatura e colori, davvero una favolosa cartolina. Ma il Galiber è bellissimo da scalare anche in primavera, quando, concluso l’inverno, i prati a lato della strada iniziano a fiorire.
Se volete percorrere per intero i due versanti del Galibier (da Briançon e da Saint Michel de Maurienne) mettete in conto circa 150 chilometri complessivi e oltre 3mila metri di dislivello. Io invece ho scelto una soluzione alternativa. Ho lasciato la macchina un paio di chilometri prima del Col du Lautaret a quota 2mila metri. I 26 chilometri che da Briançon portano al Lautaret, infatti, sono poco appassionanti, non particolarmente panoramici e spesso trafficati. Insomma, onestamente, evitabili.
Il vero Galibier, da questo versante, inizia proprio al Lautaret con 8,7 chilometri da percorrere che portano fino a quota 2.642 metri. La strada si inerpica regolare, quasi sempre fra il 6 e l’8% di pendenza media. La salita è aperta, domina la valle sottostante di Serre Chevalier e offre scorci di paesaggio notevoli. Sull’asfalto ci sono le tracce delle scritte dedicate ai corridori del Tour che qui ci passa con buona regolarità (oltre 60 volte finora).
Se si è allenati la fatica è relativa. Almeno fino a un chilometro dalla vetta, dove una torretta-monumento ricorda l’ideatore della Grand Boucle Henri Desgrange, e dove comincia il tratto più impegnativo con pendenze in doppia cifra. Ma è uno sforzo piacevole, perché lo scollinamento è lì a due passi.
Una volta arrivati in cima, dare uno sguardo al panorama è doveroso e, dopo la classica foto di rito, ci si lancia giù in picchiata verso Valloire. Sono 18 chilometri di discesa in cui ci si rende già conto che, al ritorno, la musica sarà diversa. Da questa piccola e accogliente località sciistica si risale poi per 5 chilometri fino al Col du Télégraphe, prima di affrontare gli ultimi 12 chilometri di discesa verso Saint Michel de Maurienne. Io però ho fatto inversione sul Télégraphe (che dal basso misura appunto 12 chilometri al 7% medio) e sono tornato a Valloire. Appena fuori dall’abitato di Valloire mi dà il benvenuto un bel ‘drittone’ tra l’8 e il 10% prima che la strada spiani nella frazione di Les Verneys.
Siamo arrivati sul lato nobile del Galibier, considerato tale per la sua durezza, che è molto maggiore rispetto a quella di Briançon, ma anche, almeno credo, per via della bellezza di un paesaggio e di un panorama che ti lasciano oggettivamente a bocca aperta mentre senti l’asfalto scorrere sotto le ruote. Montagne imponenti, colori intensi e soprattutto la sensazione di essere in un luogo mitico, dove sono transitati centinaia di campioni del ciclismo nel corso dei decenni.
La caratteristica delle salite francesi (non tutte, ma di buona parte di esse) è che sono molto aperte e lunghe. Quindi, se è vero che possono risultare estenuanti e torride quando affrontate in orari non consoni (stiamo pur sempre parlando di colli al di sopra dei 2mila metri!), dall’altro offrono sempre alla vista degli scorci che alleviano la fatica mentre se ne sfidano le rampe.
Il Galibier fa sentire tutta la sua cattiveria dopo Plan Lachat, perché qui cominciano 8 chilometri che non ti lasciano respiro. Pendenze non mortifere a dire il vero, perché si tocca al massimo il 13% in un paio di tratti, ma la media è fissa sull’8-9%. Numeri che, insieme alla fatica accumulata, all’altitudine e al caldo (che a fine giro non è più quello dell’orario di partenza, nel mio caso le 8:30 del mattino), rendono l’ultima parte piuttosto esigente.
Il Galibier è una sorta di santuario, una Mecca degli amanti del Tour de France. Mentre si sale si incontra una Babele di ciclisti francesi, belgi, olandesi, tedeschi, italiani. Come capita anche sulle rampe dell’Izoard e dell’Alpe d’Huez. Ci sono quattro diversi negozi di foto che mandano quassù i loro collaboratori a immortalare il passaggio dei ciclisti, rivendendo poi gli scatti (se uno vuole comprarli ovviamente) a cifre piuttosto esorbitanti.
Mentre percorro l’ultimo chilometro il cuore esulta nel petto, ma allo stesso tempo soffre perché questo viaggio magnifico sulla Route des Alpes sta per terminare. È mentre pedali che assapori la magnificenza e la grandezza della salita che stai facendo. Lassù, in cima, ti puoi godere cinque minuti di ebbrezza e soddisfazione. Poi, di questi 70 chilometri e 2.100 metri di dislivello, ti rimarranno solo le foto e gli appunti che hai preso dentro l’anima. Oltre a poter dire di aver calcato quell’asfalto che, in un fine luglio del 1998, un piccolo scalatore che veniva dalla Romagna incendiò con il suo attacco stellare, cambiando la storia di quell’edizione del Tour. Una giornata da leggenda. Come la t-shirt che ho comprato e su cui è impressa una scritta: ‘Col du Galibier – Legende des Alpes’.