Immagine
Array

locasto

Il 'domatore di pentole' che ha cucinato una carbonara sull'Everest

Articolo pubblicato su BIKE Volume 5 edizione Summer luglio-settembre 2021

Essere chef è un po’ come praticare uno sport estremo tra i fornelli. Se affianchi poi una fat bike come mezzo di trasporto al guanciale come ragione di vita, allora la storia si fa saporita. Cristiano Sabatini, aka Bike Chef, ha l’energia tipica dei cuochi che ne hanno viste (e mangiate) di cotte e di crude. Il cinquantenne che, fin da tenerissima età, era già in prima linea a gestire il ristorante di famiglia, oggi trasmette quella sagacia tipica di chi ha sperimentato parecchio. Crescendo si è trasferito a Viterbo, dove si è lanciato a capofitto nel mondo del catering di alto livello, fino a diventare personal chef di Giovanni Veronesi. Ha partecipato poi a due stagioni di Cuochi d’Italia con Alessandro Borghese e iniziato a viaggiare per mangiare, per scoprire altri sapori e ibridare la sua cucina con quelle del mondo.

Per Sabatini la bici è diventata una magica compagna, di stranezze e avventure. Quasi un paradosso, per uno che ama definirsi “pigro avventuriero”, dedito forse più al divano e alle gioie del maiale sfrigolante. La voglia di libertà muove dentro, però, e prima o poi si esprime nei modi più imprevisti. Cristiano nel 2014 fa il cammino di Santiago in bici, solo, con due borse da bike-packing integrate nel telaio, e una fame irriducibile di cose buone e nuove. Da Roncisvalle a Santiago de Compostela impiega otto giorni, tra degustazioni mattutine di vino nella Rioja, e abbuffate serali nelle locande dei pellegrini.

Nel 2015 è la volta del Tuscany trail, percorso in quattro giorni con fiaschetta di grappa nella forcella davanti e salsiccia passita sul manubrio. Mai perdere la vena goliardica, la fatica è solo una metafora del cammino, la vera bellezza si nasconde dietro ai percorsi più tortuosi e meno prevedibili. Nel 2016, invece, Sabatini compra una ‘Fargo’, altrimenti detta ‘go far bike’, per andare più lontano: gira la Nuova Zelanda e un anno più tardi partecipa al Naturaid Marocco impossible, 630 km sull’Atlante, trenta giorni di solitudine catartica, parecchi rischi, e tanta forza di volontà. “Una notte ho dormito con un pastore berbero”, ricorda Sabatini, “e ho anche dovuto guadare un fiume in notturna, non avevo altra scelta”.

Viaggi che cambiano il modo di concepire il proprio corpo, la propria resistenza e che aprono nuovi spazi di riflessione sulle infinite possibilità della realtà vissuta su due ruote. L’attenzione al cibo accompagna ogni suo itinerario, le sperimentazioni si fanno sempre più ardite, quasi una necessità. Nel 2019 il Bike Chef percorre l’ultramaratona invernale di 150 km sulla neve, in Lapponia, tra boschi e fiumi ghiacciati, con meno 40 gradi fissi, sempre solo sulla sua fat bike. L’ennesima avventura ‘unsupported’, di fronte a una natura tutt’altro che ospitale, con un check point ogni 60 km. Con lui, questa volta, pasta e fagioli o carbonara disidratate, pronte per soste- nerlo nei momenti di fame intensa e nostalgia di casa.

“Il mese dopo ero sull’Everest a preparare la carbonara ‘più alta’ del mondo”, prosegue Sabatini, dopo 68 km con la bici in spalla, e sei giorni di viaggio, a 5.174 metri, non troppo lontano dal campo base. Niente di così fuori dal comune per uno che quando va in Nepal ama preparare il ragù di Yak, rigorosamente italian style, però, nel- la cucina del ristorante La Bella Nepali a Bhaktapur. La cucina è linguaggio, scambio di saperi, di sapori, le ricette di sempre accolgono ingredienti diversi e lontani, che quasi per magia si fanno prossimi. A maggio è uscito il ricettario intitolato Le avventure semiserie di un domatore di pentole, una raccolta di peripezie culinarie di un libero mangione, con le ali sempre spalancate, pronto a prendere il volo.

Cristiano Sabatini
Cristiano Sabatini, aka bike chef