Montecampione nel nome del Pirata
Articolo pubblicato su BIKE Volume 6 edizione Autumn ottobre-dicembre 2021
Se a distanza di 23 anni da quell’impresa hanno deciso di inaugurare una sua statua alta sei metri, ciò significa che a Plan di Montecampione (Bs) Marco Pantani ha scritto davvero una delle pagine più memorabili nella storia del ciclismo. Del resto, a 1800 metri di altezza, là dove partono gli impianti di risalita verso le piste da sci, il piazzale si è da tempo trasformato in una meta di ‘pellegrinaggio’ per centinaia di ciclisti, che salgono fin lassù con la sola forza delle proprie gambe e nel cuore l’emozione per le gesta del Pirata.
Alla vigilia dell’inaugurazione ufficiale del monumento a Pantani, anche chi scrive ha voluto percorrere quell’ascesa, con la sua mitica De Rosa dalla livrea verde-oro, un po’ ‘brasiliana’. Ripercorrendo così il finale della tappa che, quel 4 giugno del 1998, partiva da Cavalese per arrivare proprio a Plan di Montecampione. Duecentoquarantatre kilometri al termine dei quali il Panta – che due giorni prima, a Selva di Val Gardena, aveva strappato la maglia rosa allo svizzero Alex Zulle – riuscì a staccare e battere Pavel Tonkov, che lo aveva a sua volta battuto sul traguardo della tappa precedente con arrivo sull’Alpe di Pampeago.
La resa dei conti fra il romagnolo e il russo andò in scena proprio sui 20 kilometri che da Pian Camuno (in cima al lago d’Iseo) portano fino al Plan. Il duello fu epico, con Pantani che, solo dopo una serie di ripetuti attacchi (e dopo essersi liberato persino dell’orecchino al naso), riuscì finalmente a piegare la resistenza di Tonkov, che perse la sua ruota a tre kilometri dal traguardo, lasciando sul piatto alla fine 57 secondi. Pantani riuscì poi a ‘blindare’ la maglia rosa nella cronometro svizzera da Mendrisio a Lugano, trionfando infine sul traguardo di Milano. Da quel giorno l’ascesa di Montecampione è entrata a far parte dell’immaginario collettivo di migliaia di cicloamatori.
La salita è di quelle vere, tosta, con poco spazio per tirare il fiato. Per fortuna ogni tanto ci sono murales e scritte dedicate a Pantani che evocano lo spirito dello scalatore di Cesenatico, quasi a voler trasmettere una marcia in più a chi si trova costantemente obbligato a spingere sui pedali. Pronti-via e fino al quinto kilometro la pendenza media viaggia fissa fra l’8 e il 10 per cento. Così, tanto per dare il giusto benvenuto. Un piccolo tratto al 6 per cento consente di riprendere il fiato, prima di altri 3 kilometri abbondanti all’8-9 per cento che portano a Montecampione. Il passaggio in paese consente di iniziare ad ammirare il paesaggio e le montagne circostanti, oltre a poter fare una breve sosta foto-ricordo nei pressi del laghetto (con bar).
L’uscita dall’abitato, invece, è dolce, ma è un’illusione. Seguono altri 5 kilometri fissi, sempre tra l’8 e il 10 per cento. L’asfalto, solo parzialmente rifatto, inizia a far bruciare gambe e polmoni. Su un tornante l’immagine di Pantani con bandana ricorda che bisogna prepararsi allo ‘sparo’ finale. A meno 2 kilometri dall’arrivo si inizia a scorgere la cima (ora anche la statua); altri murales ricordano tutti i passaggi del Giro d’Italia, con anche i sigilli di Bernard Hinault e Fabio Aru alla sua prima vittoria in carriera, nel 2014.
Gli ultimi tornanti quasi non si sentono più nelle gambe, perché la meta ormai è vicina. Il piazzale si apre e si viene accolti dalla figura di Pantani, a braccia aperte in segno di vittoria, che riscalda il cuore e ripaga di ogni goccia di sudore che si è versata per arrivare fin lassù, dove termina la strada. Resta solo lo spazio per il silenzio, il ricordo. Magari anche per una lacrima o una preghiera. Marco Pantani, qui, vivrà per l’eternità. E ogni cicloamatore, una volta arrivato in cima, avvertirà per sempre la sensazione di aver pedalato su una salita che ha il sapore della leggenda, del mito.