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A cena con Renato Laghi: una serata traboccante di umanità, parlando di ciclismo

Quando si dice che i corridori del secolo scorso erano più umani, più veri, più genuini non è solo una frase buttata lì. Provare per credere. Ho avuto la fortuna di mangiare a casa di Vittorio Adorni e di Ercole Baldini, di vedere casa di Gianni Motta e pranzare con Moreno Argentin. Di essere ricevuto da Francesco Moser e Gianni Bugno. Di incontrare Eddy Merckx. Solo per citarne alcuni. Di questi campionissimi mi ha colpito soprattutto l'immediatezza e la semplicità nel raccontare e nel raccontarsi. Di accogliere e fare due chiacchiere.

L'ultimo incontro l'ho avuto pochi giorni fa con Renato Laghi, corridore faentino, che oggi veleggia verso gli 80 anni (ma ne ha ancora 77!) e mostra ancora lo spirito di un ragazzino. Mi ha accolto come un nipote, insieme alla sua dolce metà Patrizia (matrimonio che dura da 50 anni), nella loro bella villa alle porte di Faenza, sulla strada che porta a Brisighella (Ra). Renatino è stato un grande gregario, che a 33 anni si è tolto lo sfizio di vincere una clamorosa tappa al Giro d'Italia del 1977. Madonna di Campiglio-San Pellegrino Terme. L'ultima frazione di montagna di quel Giro, che avrebbe poi vinto Michel Pollentier. Una fuga di circa 200km, prima con altri cinque avventurieri e poi in solitaria scattando sul Passo Zambla, prima di giungere, a braccia alzate, solo al traguardo.

Una gratificazione senza eguali quel giorno. Per un corridore che si è sempre fatto volere bene in gruppo e dalla stampa. Per il suo animo umile e verace. Da romagnolo vero. Generoso e affabile. Mentre Patrizia mi serve tortellini in brodo, carni succulente e verdure miste, accompagnate da un sincero Pignoletto, Renato viaggia nella memoria e snocciola aneddoti. Si evocano Zilioli e Taccone, Merckx e Moser, Saronni e Visentini. E poi la sua fissa per la Sanremo. Pallino di molti corridori. Per quel suo fascino quasi mistico. Laghi si è innamorato del ciclismo vedendo passare Fausto Coppi al Giro di Romagna del 1949 e da quel momento ha sempre sognato, un giorno, di staccare tutti e restare da solo al comando. Ci sarebbe riuscito in quel fatidico 1977.

Un faticatore, Renatino. Corridore di fondo e di grande resistenza. Come confermato da quei 33 giorni consecutivi di corsa nel 1971, agganciando Giro d'Italia e Giro di Svizzera. O come quando, al termine del Giro d'Italia del 1979, partecipò, insieme a una sessantina di altri corridori reduci dalla corsa rosa, alla folle Milano-Roma, partendo alle 21 dello stesso giorno della fine del Giro. 670km, coperti a quasi 38 di media, con arrivo nella Capitale il pomeriggio successivo. Una 'granfondo' sui generis, con il pubblico, specie in Romagna, che aspettava di notte il passaggio di questi eroi. Patrizia lo aspettava con la macchina carica a Faenza, per poi accompagnarlo come una sorta di ammiraglia fino a Roma e poi riportarlo a casa.

Genitori felici, nonni tuttofare di sette nipoti e sempre con il sorriso, Renato e Patrizia sono una coppia da guardare e ammirare. Lei con amore ancora lo coccola e lo serve a tavola (prendendolo anche un po' in giro). E durante gli anni di carriera gli ha creato diversi album in cui ha conservato le foto più belle e i classici ritagli di giornale. Renato trasuda ancora una passione viscerale per il ciclismo. Lo pratica, lo guarda in tv, lo segue e lo racconta. Da questo pezzo di Romagna anch'io sono andato via con il cuore più ricco e sorridente.