Dal ‘Re del cappuccino’ tutti sono campioni
Articolo tratto da BIKE Volume 10, edizione Autumn ottobre-dicembre 2022
Monsummano Terme è un paese di 20mila abitanti immerso nella Valdinievole, provincia di Pistoia in Toscana. Segni particolari: la Grotta Giusti e la Grotta Parlanti, due rinomati centri termali, i calzaturifici e il fatto di aver tenuto a battesimo la prima esibizione italiana di David Bowie. Prima di diventare Ziggy Stardust, nel 1969 il giovane cantante partecipò al Premio Internazionale del Disco cantando When i Live My Dream. Boccoli biondi, modi gentili e una voce calda che scaldò i cuori di tutti all’interno del teatro cittadino. Per un Duca che canta c’è però un Re che a Monsummano fa altro: il cappuccino. Già, perché in questo luogo, vicino al San Baronto, la salita simbolo del ciclismo toscano, esiste un posto dove, se sei un corridore, puoi gustare un cappuccino gratuitamente. Perché il ciclista al Re del Cappuccino è sempre un ospite d’onore.
Sopra il frigo dei gelati, appese al muro, una selezione delle maglie dei corridori raccolte negli anni. Le altre, più di 200, stipate nelle scatole delle sigarette insieme agli album fotografici. Un vero e proprio tesoro nello scantinato del bar, mostrato con orgoglio da chi ha fatto del ciclismo una passione da tramandare. “I corridori vengono qua e bevono il cappuccino. Non li facciamo pagare così, per regalo, ci lasciano la loro maglia”, racconta Manuela che gestisce il bar insieme al fratello Maurizio e al marito Paolo da quando il padre Umberto è mancato nel 2015. Era lui il Re del Cappuccino. “Mio padre non faceva distinzioni tra il campione e il ragazzino: nessuno dei due pagava. Per lui era una gioia offrire il suo cappuccino. E noi proseguiamo in questa tradizione perché sappiamo di renderlo felice”.
Nel 1959 Umberto Galligani torna da Milano dove aveva lavorato come cameriere in una gelateria-caffetteria di Porta Venezia frequentata dalla buona borghesia milanese. 60mila lire di stipendio, 400mila lire di mance. Con i soldi messi da parte, Il toscanino com’era soprannominato torna a Monsummano e apre un alimentari che poi diventa un bar e inizia a sfornare cappuccini a ripetizione. Sempre sorridente, affabile, con la cravatta sotto il camice da lavoro. Un signore, nel vero senso della parola. “Mano, macinatura, miscela, macchina: queste sono le quattro emme che secondo mio padre servivano per ottenere un buon caffè”, afferma Manuela che poi indica una maglia tra le tante appese. Riporta proprio le ‘quattro emme’ con un piccolo errore ortografico. “Ce la portò una squadra israeliana quando seppero che mio padre era morto. Vennero apposta, fu molto toccante”.
Maglie, tante, e foto, una miriade. Squadre intere o singoli corridori, immortalati a fianco di Umberto. E poi firme, cappellini, ritagli di giornali. Il Re del Cappuccino è il regno del ciclismo racchiuso in un bar, tra i cornetti, le sigarette e i quotidiani da sfogliare. Fuori le bici da corsa, dentro i corridori che fanno una pausa. Una meta di pellegrinaggio obbligatoria. Tutti si fermano o si sono fermati dal Re del Cappuccino. Persino Marco Pantani. “Venne una sera”, ricorda Manuela: “Parlò a lungo di funghi con mio padre. Gli disse che aveva comprato un podere in Romagna vicino a una fungaia”
Nel 2013 la Toscana celebra la sua vocazione ciclistica ospitando i Mondiali su strada e il Re del Cappuccino diventa meta per tutte le nazionali che alloggiano nella vicina Montecatini. “Era un viavai continuo, servivamo cappuccini senza sosta. Un giorno arrivò Marianne Voss che si stava allenando con la nazionale olandese. Si portò dietro l’intera troupe televisiva. Bevve il cappuccino e ci regalò la maglia. Due giorni dopo vinse il Mondiale”. In alto, sul muro, campeggia incorniciata la prima pagina dell’Equipe che immortala la vittoria di Pantani sul Galibier al Tour de France del 1998. Su una colonna, trova posto la foto di Francesco Moser e, subito sotto, quella di Giuseppe Saronni. Umberto era moseriano ma nel suo locale teneva anche quella del rivale, a ricordarci che il ciclismo unisce e non divide mai.
(Foto: Sara Agostiniani)