Giro d’Italia 2026, sempre meno salite mitiche
Dopo settimane di frenetiche indiscrezioni e ricostruzioni, il tracciato del Giro d’Italia 2026 è stato finalmente svelato nella sua interezza dando il là, come di consueto, a un’ampia serie di analisi e considerazioni. Fra queste, partendo dai dati certi relativi al percorso del prossimo anno, ve ne sono due che, forse, in questi primi giorni non hanno avuto particolare risalto e sulle quali, di conseguenza, vogliamo provare a soffermarci.
Le grandi montagne assenti
C’è un gran parlare ultimamente attorno all’idea di invertire la collocazione in calendario di Giro e Vuelta. Tale operazione, caldeggiata di recente sia dal bicampione del Mondo su strada Tadej Pogacar che dal Presidente del CPA Adam Hansen, secondo molti darebbe benefici a entrambi le manifestazioni. Nel caso della Corsa Rosa, quest’ultima, in caso di spostamento, diverrebbe un ideale trampolino di lancio per preparare i Mondiali e il finale di stagione (garantendosi probabilmente un campo partenti di livello più alto) e, soprattutto, vedrebbe sensibilmente ridursi il rischio d’incorrere in problematiche legate al meteo dandosi in questo modo molte e più sicure chance di battere le grandi montagne.
A questo proposito, è da evidenziare come il Giro d’Italia 2026 scollinerà solamente due volte oltre quota 2000 metri (in occasione delle scalate ai 2226 metri del Passo Giau e ai 2102 metri del Passo Falzarego previste entrambe nella 19ᵃ tappa) confermando sostanzialmente il trend degli ultimi anni che vede la carovana rosa girare volutamente al largo delle altitudini più elevate e, di conseguenza, delle vette mitiche. Nelle ultime sette edizioni, infatti, il numero di ascese oltre i 2000 metri inserite nei vari percorsi è oscillato sempre tra le due e le tre con l’unica eccezione delle sei del Giro 2023, una tendenza questa frutto di una scelta precisa (indotta dalle bizze del clima) che ha portato le cime storiche, quelle dove si sono scritte alcune delle pagine indelebili delle due ruote e che ancora oggi accendono la fantasia della gente, ad essere incluse col contagocce nei tracciati della Corsa Rosa: lo Stelvio manca dal 2020, il Gardena dal 2017, l’Agnello dal 2016 e il Gavia dal 2014 ad esempio.
Ecco che allora, pur riconoscendo il valore e la forza del tradizionale spot in calendario del Giro, se si volesse godere di maggior libertà organizzativa, dimenticarsi dei bollettini metereologici, non sforzarsi di stare al di sotto di certe altitudini e andare a rispolverare determinate strade evitando che alcune ascese diventino solo sfondi sbiaditi di ricordi più o meno lontani, quella del cambio data forse, alla fine, non sarebbe un’idea così malsana da valutare.
Una curiosità da tenere a mente
Al pari delle considerazioni sui passaggi oltre i 2000 metri, merita di essere evidenziato brevemente anche un altro dato tecnico relativo alla conformazione del Giro 109. Carte alla mano, la frazione più lunga della prossima Corsa Rosa misurerà, infatti, 246 chilometri e questa, al contrario di quello che si potrebbe esser invogliati a fare, non è un’informazione da bypassare in fretta e archiviare senza soffermarcisi. Pur avvicinandosi a quel chilometraggio in due circostanze negli ultimi anni, bisogna dire che il prossimo 15 maggio la Corsa Rosa si troverà a vivere la sua giornata più lunga nell’ultimo decennio poiché mai, da dopo il 2015 e dai 264 chilometri della Grosseto-Fiuggi (finora la tappa più lunga del Giro in questo secolo), è capitato che gli organizzatori mettessero a punto una frazione su una simile distanza.
Anche grazie a questa fatica, le frazioni di lunghezza pari o superiore ai 200 chilometri da affrontare l’anno prossimo saranno 4, numero che rispecchia la media esatta registrata prendendo in esame le sei edizioni disputate dal 2021 (compreso) in poi. Prima di questo periodo, nel precedente quinquennio (2016-2020), il dato era stato decisamente più alto (7,2), sintomo questo di un’altra chiara e dichiarata strategia ovvero quella di abbassare il chilometraggio medio di ogni giornata e puntare ad avere tappe più esplosive e più concentrate.
Il tutto, legandoci a quanto detto poco sopra, ricorrendo il meno possibile alla fisiologica selezione provocata dall’altura e degli scollinamenti ad alta quota per un risultato finale che, come tutti quelli dal Covid in poi, appare come il prodotto di due filosofie combinate, imbracciate da RCS con l’intento di dar vita a una corsa dal ritmo più dinamico, avvincente e al passo coi tempi rispetto a quelle del passato.
(Photo Credit: LaPresse)