
Grimaldi: "Le città 30 migliorano la vivibilità"
Venezia ha inaugurato la nuova edizione del festival "Pavè-Pedalando Venezia", evento che dal 9 all'11 maggio punta a valorizzare la mobilità dolce attraverso un ricco programma di itinerari, laboratori e incontri aperti alla cittadinanza. L'obiettivo è riflettere sul valore della bicicletta non solo da un punto di vista ecologico, ma anche culturale. Tanti gli incontri e le tematiche trattate nella tre giorni, tra cui il place making ovvero l'approccio progettuale che trasforma gli spazi di una città in luoghi vivibili per tutti, favorendo l'accessibilità e il senso di comunità. Ce ne parla meglio Alessio Grimaldi, urban designer dello studio Decesio, tra i promotori dell'iniziativa.
Cosa fa esattamente un place maker?
"Bella domanda! Io stesso faccio alcune volte difficoltà a spiegarlo in modo immediato e circoscritto. Mi piace descrivere questa figura come un qualcuno che, attraverso la propria creatività, ripensa i luoghi che molto spesso consideriamo 'dati e immutabili'. Il suo compito è immaginare, ripensare e creare un luogo vissuto e vivibile là dove magari non esisteva".

Può farci un esempio concreto, un progetto modello?
"Ci sono esempi trasversali tra loro. Il bello del place making è che si può attuare con soluzioni immediate, leggere e temporanee. Penso ad esempio alle superillas di Barcellona, o al progetto piazze aperte di Milano, che con vernice e arredo urbano hanno rivoluzionato alcuni spazi cittadini. Ma anche a interventi strutturali, più complessi e articolati, in cui lo spazio viene trasformato radicalmente. Si tratta di spazi che fino a quel momento erano inutilizzati, inospitali e poco valorizzati nella quotidianità cittadina e che, grazie al place making, acquisiscono una nuova funzionalità".
Ci sono casi da cui hai imparato personalmente alcune cose, e altri da cui tutti dovremmo imparare?
"A me è rimasta particolarmente impressa la sperimentazione di una strada scolastica appena fuori la soglia di un asilo, in un quartiere periferico di Cuneo".
Perché è rimasto colpito?
"Prima di realizzarla il Comune ha voluto sperimentare una chiusura temporanea della strada antistante. La risposta dei bimbi e delle famiglie è andata oltre ogni aspettativa, soprattutto considerando che son bastati colori, pennarelli, qualche sedia e qualche gioco di società per rendere quello spazio un luogo per tutto il quartiere: in poco tempo i più piccoli si sono riappropriati della strada, i genitori era molto interessati con un approccio da subito positivo verso il cambiamento proposto".
Quindi un'eccezione?
"Non proprio. Spesso si pensa che ci sia reticenza a priori su certi interventi, ma molto spesso poi non è così. Quella strada scolastica è stata realizzata e oggi è un vero successo. Ciò che prima era un riquadro di asfalto, oggi è una piazza con alberi, giochi e arredi che favoriscono il ritrovo e lo svago dei cittadini, e per ogni età".
Anche a Bologna, in una prima fase, la gente si è dimostrata restia al cambiamento. Eppure, i dati mostrano che progetti come le città 30 hanno solo un risvolto positivo. Perché allora accade secondo lei?
"Io credo che l'opposizione al cambiamento sia una risposta del tutto normale che la mente umana attua per 'auto-protezione'. Il cambiamento non ci piace, abbiamo ogni giorno mille pensieri e qualsiasi cambiamento richiede adattamento. È un pensiero in più, non richiesto. Ciò che tuttavia tutti dovremmo capire è che se è vero che la reticenza al cambiamento è umana, lo sono anche l'adattamento e l'accettazione. Non possiamo ovviamente pensare che questi siano universali, ci sarà sempre qualcuno che non apprezza una data novità, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle persone poi si adatta e apprezza perché certi interventi, se fatti con criterio e convintamente, migliorano davvero la vivibilità delle nostre città e quindi la vita delle persone. A nessuno piace vivere in un luogo brutto, caotico e degradato, ma spesso non si ha la capacità di immaginare qualche cosa di differente".
Cosa possiamo fare di più? Cosa manca?
"È una risposta probabilmente scontata, ma mi soffermerei su due cose: da un lato servirebbero risorse e visione strutturali e certe a livello Paese".
Quindi, una strategia a livello nazionale?
"Sì, una strategia di rinnovo degli spazi di tutte le città italiane, che dia la possibilità ai comuni di pianificare il cambiamento e non solo di realizzare interventi spot e disaggregati tra loro. I benefici saranno anche economici, e sicuramente saranno nettamente maggiori dei costi".
Il costo è uno dei freni più diffusi?
"Io penso che dovremmo allontanarci del tutto dal pensiero che il non intervenire non abbia un costo. Molto spesso gli spazi fuori dalla nostra porta sono insicuri, insalubri e degradati, questo ha un costo economico reale. Bisogna pensare anche alla formazione, perché amministratori e tecnici hanno bisogno di imparare a immaginare città diverse. Non significa che oggi non ci siano casi virtuosi, ovviamente, ma spesso non c'è una reale conoscenza delle dinamiche del cambiamento, e la più generale paura di osare dilaga. In questo modo non possiamo andare avanti".