Il Tour Down Under è sempre più up
Adelaide e l’estate australiana “lanciano” ancora una volta la stagione World Tour. Da quando il massimo circuito internazionale ha assunto il nome e la conformazione attuale, il Santos Tour Down Under ha sempre aperto il calendario agonistico dando ad atleti e squadre l’apprezzata opportunità di rompere il ghiaccio al caldo delle strade del sud Australia. Sarà così anche quest'anno con la corsa a tappe che andrà in scena dal 21 al 26 gennaio.
È dal 2008 che Adelaide e i suoi assolati dintorni si fanno carico di ospitare i primi chilometri della stagione World Tour con una corsa a tappe che è tutt’altro che una manifestazione a sé stante. Basta vedere il numero di persone lungo le strade, il calore del tifo (che va di pari passo con quello atmosferico) e le decine di iniziative collaterali per capire che il Tour Down Under è concepito come una vera e propria festa, un momento di leggerezza in cui lo sport si sposa alla perfezione con le bellezze paesaggistiche e l’entusiasmo della gente del posto, richiamata a fiumi in strada dal coinvolgente passaggio della carovana. Il successo di pubblico è testimoniato dai dati condivisi negli scorsi mesi dall’organizzazione (nel 2024 la corsa si stima abbia coinvolto circa 770 mila persone) i quali, assieme a quelli relativi al ritorno economico e occupazionale (più di 87 milioni di dollari australiani di ricavi e 490 posizioni di lavoro full time generate), rendono bene l’idea dell’impatto di una manifestazione che, in 25 anni, ha fatto passi da gigante crescendo in termini di reputazione e riconoscibilità.
Al raggiungimento di questo traguardo hanno contribuito anche scelte come quella di introdurre nel 2006 la rappresentativa maglia ocra per il capoclassifica, di riproporre con costanza una salita ormai iconica come Willunga e soprattutto quella, fatta nel 2018 dalla Events South Australia (l’ente organizzatore dell’evento), di pareggiare per la prima volta nella storia del ciclismo il montepremi della corsa maschile e di quella femminile (nata nel 2016 ed entrata nel circuito World Tour nel 2023), tre passaggi cruciali per la costruzione dell’identità della corsa e dei consensi attorno a essa.
A tal proposito, è da sottolineare come sicuramente abbiano giocato un ruolo chiave anche le avvincenti battaglie a cui i protagonisti in più d’una circostanza hanno dato vita per aggiudicarsi la generale, spesso decisa per una manciata di secondi (come i 2” tra Rohan Dennis e Richie Porte nel 2015 e tra Cameron Meyer e Matthew Goss nel 2011 o il solo secondo a separare Gerrans e Evans nel 2014) o, a volte (come accaduto nel 2018 tra Impey e Porte e nel 2012 tra Gerrans e Valverde), addirittura per somma di migliori piazzamenti. Questa incertezza e queste lotte serrate hanno reso la manifestazione ancora più apprezzata e interessante, due caratteristiche alla base dell’appeal delle corse moderne, come lo è il Down Under, una gara a tappe di una settimana il cui spirito frizzante ed esotico si respirerà a migliaia di chilometri di distanza anche quest’anno, nel venticinquennale della prima edizione (vinta dall’attuale direttore di corsa Stuart O’Grady).
Per l’occasione gli organizzatori hanno varato quella che sarà l’edizione più dura fra quelle post Covid con poco meno di 10mila metri di dislivello distribuiti in sei frazioni, tutte (eccetto l’ultima con partenza e arrivo ad Adelaide) dal profilo più o meno mosso. Tale disegno dovrebbe favorire i corridori esplosivi, capaci di sprintare in salita e digerire bene i continui su e giù della zona, un mix di qualità questo che non manca al vincitore 2024 Stephen Williams, primo britannico (e ottavo non australiano dell’albo d’oro) a imporsi nella manifestazione e in lizza quest’anno per concedere il bis.
L’Italia, per dovere di cronaca, non ha mai conquistato il gradino più alto del podio (miglior risultato in classifica generale il 2° posto di Diego Ulissi nel 2020) ma ha fatto sue complessivamente 10 tappe (5 in epoca World Tour), uno score secondo solo a quelli dei padroni di casa (74 affermazioni parziali arricchiti da 14 vittorie finali) e della Germania (24 successi di tappa). Il bottino quest’anno però potrebbe essere rimpinguato vista la presenza al via di Francesco Busatto, Andrea Bagioli e del campione nazionale Alberto Bettiol, ultimo nostro rappresentante a imporsi in una frazione del TDU due anni orsono: rompere il digiuno, specie considerato lo stato di forma di gran parte dei portacolori aussie, non sarà semplice ma il benefico e corroborante effetto dell’estate australiana non va mai sottovalutato.