Lorenzo Barone, viaggiatore estremo tra polveri atmosferiche ed ecosistemi
Lorenzo Barone è un ciclo-viaggiatore estremo che inizia a scoprire il mondo appena compiuti i 18 anni quando, in sella alla sua bici, percorre 8.000 chilometri in 82 giorni. Da lì non si ferma più: attraversando l’Islanda, la Jacuzia con le sue temperature gelide, la Malesia e il sud est asiatico dove senza aspettative trova un mondo a parte. Ma partiamo dagli inizi. Da adolescente compra la sua prima bici come mezzo di trasporto per raggiungere i suoi amici a 12 chilometri di distanza e comprende sin da subito che il suo futuro va in quella direzione. Così, ancora minorenne, pianifica il suo primo viaggio dall’Italia al Portogallo e ritorno e trova la sua strada.
Come si definisce?
“Non mi sono mai voluto etichettare come un qualcosa di specifico, ma avendo realizzato tanti viaggi in bicicletta, sono stato considerato dalle persone prima come ‘quello che fa i viaggi in bici’ e successivamente diversificando le attività tra sci e kayak. Come un ‘avventuriero’. Io però mi considero solo uno che fa ciò che si sente di fare”.
Gli anni di esperienza in giro per il mondo l’hanno aiutata a conoscersi meglio?
“Oltre dieci anni di viaggi mi hanno permesso di accumulare le conoscenze necessarie per vivere esperienze uniche e raggiungere luoghi remoti dai quali sono molto incuriosito. Ormai da tempo, però, non sono più solo attratto dal fare dei viaggi, ma voglio trovare un senso preciso o un obiettivo chiaro da raggiungere. Nel caso del prossimo progetto, per esempio, c'è anche uno studio scientifico sulle polveri atmosferiche che dalla depressione di Bodelè, nel Sahara in Ciad, raggiungono l'Amazzonia fertilizzandone il terreno”.
Cosa è per le la bici?
“Ogni volta che salgo in bici per più giorni porto con me tenda, materassino e sacco a pelo. In linea di massima mi piace comunque essere sempre al 100% autonomo, quindi per brevi giri ho gli attrezzi e i pezzi di ricambio in caso di inconvenienti”.
Quanto sono importanti le sue esperienze in giro per il mondo?
“I chilometri percorsi per me sono solamente dei numeri, ma le esperienze che mi hanno lasciato sono invece ciò che mi ha trasformato come persona. In quanto a difficoltà, invece, credo che non sia tanto il numero di chilometri, ma il dove o il come vengono percorsi a valorizzarne ogni metro”.
Che rapporto ha con la bici?
“La bici è un mezzo incredibile che mi ha permesso di coprire lunghe distanze in autosufficienza attraverso vari continenti e spesso quando pedalo entro in una specie di meditazione. Inoltre la bici ti permette, più di altri mezzi, di entrare in contatto con altre popolazioni in modo molto spontaneo e diretto”.
C’è una meta che ricorda con più piacere?
“Non ho una meta specifica alla quale sono più affezionato, perché credo che ogni viaggio mi abbia lasciato qualcosa e non voglio mettere in competizione le esperienze vissute, bensì valorizzarle tutte”.
Il viaggio in Jacuzia cosa le ha lasciato?
“Avevo iniziato a prepararlo nel 2018, poi a causa di un incidente mentre mi tuffavo, l'ho dovuto posticipare al 2020. Avevo fatto una prima esperienza in Lapponia d'inverno nel 2016 e successivamente sul Pamir sempre in inverno quindi avevo le competenze minime necessarie per sopravvivere in quelle condizioni e percorrere più di 2.000 chilometri. Ho comunque passato quattro mesi a lavorare sui materiali cercando di immaginarmi temperature intorno a -50°C che non avevo mai sperimentato prima”.
Il prossimo progetto sarà così estremo?
“Il prossimo progetto sul quale lavoro da ormai più di un anno si chiama ‘Dust la via della polvere’ e consiste nell'attraversare quattro degli ecosistemi più grandi sul nostro pianeta a propulsione umana: Sahara, Oceano Atlantico a remi in solitaria, Amazzonia e la seconda vetta più alta delle Americhe sulle Ande. Sto cercando di risolvere gli ultimi dettagli burocratici e la partenza è prevista a fine mese”.
Cosa significa per lei viaggiare da solo?
“Fare salto nel vuoto, prendere delle decisioni, mantenerle e finire per scoprirsi sia in modo introspettivo che confrontandosi con altre culture, più di quanto si farebbe in coppia. Significa però anche rinunciare alle relazioni e agli affetti che rimangono a casa”.