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I mille volti dell'Oltrepò pavese

Articolo pubblicato su BIKE Volume 4 edizione Spring aprile-giugno 2021

I vigneti rigonfi d’uva che profuma. Il giallo ocra, l’arancione e il rosso che si mescolano con gli ultimi respiri del verde e colorano le colline. È bello sempre, ma in autunno l’Oltrepò pavese sprigiona per intero tutto il suo fascino. Resta comunque scelta ardua indicare una sola stagione in cui pedalarci. Certo, l’inverno da queste parti è abbastanza rigido, ma una sgambata sulle prime salitelle con ai lati un po’ di neve ha comunque il suo perché. La verità è che questa zona a sud di Pavia e che si va a intersecare fino al confine con le province di Alessandria e Piacenza resta un piccolo gioiello incastonato in un territorio a meno di un’ora di macchina da Milano. E qui, chi ama pedalare, si può sbizzarrire.

Sarebbe riduttivo e mortificante proporre un solo giro o un solo ‘anello’. I punti di partenza possono essere i più vari e originali, ma in linea di massima se ne possono citare tre: Casteggio, Broni e Rivanazzano Terme (o Salice). Ovunque si decide di dirigersi, difficilmente si sbaglia. L’Oltrepò è costellato di strappi e muri, strade più morbide, valli e punti panoramici. Castelli (Oramala e Zavattarello su tutti) e luoghi ameni, come il nascosto ma imperdibile Eremo di Sant’Alberto di Butrio (raggiungibile da Ponte Nizza o da Poggio Ferrato), al quale si arriva solo dopo aver affrontato pendenze anche superiori al 13%.

Il miglior consiglio è andare a zonzo, seguire l’istinto e il cuore. Avventurarsi in stradine e deviazioni per scoprire questo spicchio di terra in cui sembra che il tempo di sia fermato. La vita scorre lenta. La densità di popolazione, salvo poche eccezioni, è minima. Si pedala senza traffico. Nella pace semi-assoluta, pronti a lasciarsi sorprendere dalle valli che si intrecciano e si superano in serie. Come la valle Schizzola (imprescindibile la salita di Rocca Susella: sono quattro chilometri all’8% di pendenza abbondante. O la valle dello Scuropasso, ma anche la val di Nizza e le valli Tidone e Staffora. Val Tidone e val Staffora conducono entrambe, da due versanti differenti, in cima alla vetta più importante della zona, il passo Penice, posto al confine con la provincia di Piacenza. Le ascese da Varzi (15 kilometri oltre il 4% seguendo la strada principale, che diventano più più impegnativi se si opta per le varianti da Menconico-Lago o quella che porta al passo della Scaparina) e da Romagnese sono lunghe ma non impossibili.

Il versante ‘nobile’ del Penice, comunque pedalabile anche se partite dal pavese, è quello piacentino da Bobbio: 12,5 kilometri al 7% di pendenza media, dato un po’ bugiardo perché viziato da due tratti in falsopiano spalmati sulla salita, che resta invece quasi sempre fra l’8 e il 10%. Il punto panoramico dove si arriva è la vetta del Penice, dove c’è il delizioso Santuario di Santa Maria (1460 metri sul livello del mare). Qui sopra, dopo 3,7 kilometri al 9% medio e con punte al 14%, la strada finisce e, nelle giornate terse, bisogna solo mettersi in adorazione dello spettacolo visivo che viene offerto agli occhi. Da una parte si domina tutta la piana, fino a Milano, ammirando l’arco alpino sullo sfondo; dall’altra lo sguardo si perde verso la Val Trebbia, la cima del Monte Lesima (salita meravigliosa ma con una strada non all’altezza) e le colline dell’Emilia-Romagna. Insomma, un panorama da cartolina.

Ma c’è di più. L’Oltrepò è anche Santa Maria della Versa, epicentro di una serie di cantine in cui sorseggiare e acquistare vini ruspanti. È la diga del Molato, punto fotografico da non perdere prima di affrontare il ‘piccolo Stelvio, come lo chiamano da queste parti, che conduce a Pometo. E in Oltrepò ci sono pure le primissime colline, un vero e proprio ‘must’ per i cicloamatori pavesi e milanesi: Montalto Pavese e lo scorcio panoramico dalla Madonna del Vento, Montù Beccaria, Canneto Pavese, Fortunago e via dicendo.

L’Oltrepò – il cui vero difetto purtroppo è la qualità dell’asfalto – resta una palestra perfetta per chi ‘odia’ la pianura e ‘ama’ invece faticare. In 80 kilometri si possono infatti registrare tranquillamente fra i 1.500 e i 2mila metri di dislivello. Non a caso, su queste strade, si corre una delle corse più dure per le categorie giovanili: la Freccia dei Vini, caratterizzata dall’infernale muro di Donelasco, vinta in passato da futuri campioni come Giovanni Battaglin ed Emanuele Bombini. L’Oltrepò, insomma, è una culla, non solo per le promesse del ciclismo di domani, ma per tutti coloro i quali vogliono prepararsi alle grandi salite alpine. Oltre ad essere un rifugio di silenzio, pace e armonia.