
Analisi Tour de France: Pogacar e poi la noia?
Va in archivio il Tour de France che ha visto trionfare Tadej Pogacar per la quarta volta in carriera. Lo sloveno ha raggiunto Chris Froome ed è a un’incollatura dai recordman Indurain, Hinault, Merckx e Anquetil. È una vittoria della UAE, che si “vendica” della Visma che al Giro d'Italia ha vinto all’ultimo con Simon Yates dopo che Del Toro ha assaporato la vittoria finale.
Sì, la UAE si trasforma con Pogacar…
Ed è proprio da qui che si può partire analizzando il Tour della maglia gialla, della sua squadra e dei rivali. Al termine del Giro, in questi lidi, abbiamo lanciato la provocazione di una UAE Emirates troppo condizionata dalla presenza o meno dello sloveno, sia per il suo modo di approcciare le corse sia nelle performance dei suoi compagni di squadra. Ci si aspettava Almeida e Yates come principali luogotenenti, invece con il portoghese costretto al ritiro (e fino a quel momento valido scudiero) e un inglese più defilato, sono venuti fuori Tim Wellens (vincitore anche di una tappa a Carcassonne) e Jhonathan Narvaez, con probabilmente la gamba migliore in carriera, che ha dato una grande mano a Pogacar nelle tappe di salita. Alla fine il team emiratino ha archiviato cinque tappe e due maglie, con l’obiettivo concreto di superare il record di vittore stagionali (81 contro le attuali 68). A prescindere dalla presenza di Pogi alla Vuelta, con la possibilità di schierare Del Toro, Ayuso e Almeida sarà a prescindere la squadra da battere, con Vingegaard principale antagonista. Lì avremo la conferma definitiva: la UAE saprà vincere un grande Giro anche senza Tadej?
… e sì, Pogacar ha distrutto i rivali, forse anche le emozioni
Da qui un’analisi più specifica dello sloveno, che ha dominato in lungo e in largo ma in una maniera un po’ differente rispetto all’anno scorso. Il tutto in un Tour dai distacchi abissali, quasi da ciclismo di altri tempi, ma che rappresenta l’apice di una evidente tendenza negli ultimi anni (4 minuti al secondo, 11 al terzo, il decimo oltre la mezz’ora e solo 12 corridori entro l’ora di ritardo) e dalla media più alta della storia (oltre 43 km/h di media). Se l’anno scorso lo sloveno ha dato spettacolo dall’inizio alla fine, con 6 vittorie di tappa e l’accoppiata col Giro (anche lì vinto con 6 tappe in bacheca) che mancava dal 1998, quest’anno è stato un Tadej più conservativo.
Attivo e pimpante nella prima settimana, con due vittore di tappa e il secondo posto nella crono, devastante nella seconda (a Peyragudes e soprattutto ad Hautacam, dove ha rifilato a Vingegaard oltre due minuti, metà del distacco complessivo), nell’ultima parte di Tour con le Alpi si è “limitato” a controllare, complice un malanno che si è palesato dopo La Plagne, per poi tornare a dar battaglia sugli Champs-Élysées. Era forse presuntuoso vedere Pogacar staccare tutto e tutti come 12 mesi fa, ma i fuochi d’artificio nell’ultima settimana sono venuti meno (Mont Ventoux a parte), con lo sloveno che proprio a fine Tour ha evidenziato una stanchezza fisica e mentale che allo stato attuale mette in serio dubbio la partecipazione alla Vuelta. Insomma, se nel 2024 una forma straripante e la rincorsa all’impresa dell’accoppiata Giro-Tour hanno esaltato il pubblico, nel 2025 il dominio sloveno non ha appassionato.
O forse le colpe sono dei rivali, Vingegaard ed Evenepoel in primis?
Tuttavia, per il banale concetto del “chi vince ha sempre ragione”, l’altra faccia di questa medaglia va analizzata per forza nei rivali che non hanno impedito il dominio UAE-Pogacar. Su tutti Jonas Vingegaard. L’anno scorso il danese si era dovuto arrendere all’incontenibile sloveno ma anche a una condizione che non poteva essere al massimo, dopo la caduta al Giro dei Paesi Baschi che gli causò la frattura di sette costole, sterno e clavicola. Quest’anno Vingo ha potuto fare la preparazione senza gravi intoppi e nelle dichiarazioni iniziali c’era la volontà di giocarsela alla pari col rivale di sempre al Tour.
Invece ha pagato dazio già nella cronometro di Caen, ha subito le accelerate di Pogacar nella prima settimana e la stesa di Hautacam nella seconda. Nonostante le dichiarazioni di provarci fino all’ultimo, con la sola ascesa al Monte Ventoso in cui ha dato la sensazione di giocarsela ad armi pari, non è riuscito a staccare il rivale (non al 100%) sulle Alpi, senza fare attacchi coraggiosi (tolto il tentativo ai -70 nella tappa del Col de la Loze). Probabilmente non è stato aiutato a dovere da una Visma non brillante in diversi suoi elementi (Yates vincitore di una tappa ma raramente protagonista in salita, così come Sepp Kuss e soprattutto Matteo Jorgenson), ma è un Tour che ridimensiona le ambizioni del campione ’22 e ‘23, con la Vuelta come occasione di necessaria rivincita.
Ridimensionata ancora maggiore per Remco Evenepoel, che dopo il podio della scorso anno voleva fare un passo in avanti per avvicinarsi all’accoppiata che monopolizza il Tour de France da 6 edizioni a questa parte. Dopo la vittoria nella crono, il belga è poi crollato sui Pirenei ritirandosi sul Tourmalet. A causa di un inseguimento della condizione che parte dal brutto infortunio di dicembre ma anche della rottura di una costola rimediata ai campionati nazionali e rivelata solo dopo il suo ritiro. Insomma, se il dominio di Pogacar non è stato appassionante come un anno fa, non è “colpa” di un 4 volte vincitore del Tour, campione di tre Monumento e iridato in carica.
(Photo credits: Charly Lopez)